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E’ una Prato diversa quella che si è svegliata stamani, dopo la sbornia dei numeri del ballottaggio. Una Prato che ancora fatica a capire cosa l’aspetta ma che sa già che qualcosa è cambiato. Da una parte l’euforia del popolo del centodestra, per una vittoria storica, che fino a qualche mese fa nessuno avrebbe nemmeno avuto il coraggio di sognare. Dall’altra lo sbigottimento e l’incredulità del centrosinistra, costretto a fare i conti con una debacle che, prima ancora che il candidato Massimo Carlesi, coinvolge un intero gruppo dirigente, a partire dal governatore Claudio Martini che nei giorni precedenti il ballottaggio si era trasferito armi e bagagli a Prato per prendere in mano la situazione.Ecco, al di là della vittoria inequivocabile di Roberto Cenni – cui va una grossa parte del merito, per aver saputo catturare una gran parte degli indecisi e dei “neutri”, facendo gioco su sentimenti legittimi e universali come ad esempio il desiderio di sicurezza e il bisogno di riaffermare una “pratesità” ormai a rischio -, quello che hanno detto queste elezioni è che la città aveva voglia di cambiare pagina. Dopo 63 anni di ininterrotto governo da parte del centrosinistra, c’era il bisogno di provare qualcosa di nuovo. Questo per un semplice motivo, che probabilmente nelle stanze del Pd hanno faticato a capire: perché dopo decenni di buon governo (sì, buon governo, perché si può pensarla in ogni modo ma Prato ha avuto fior di amministratori), dopo tanti anni di buona e corretta amministrazione, che hanno fatto della nostra città un modello da seguire, qualcosa si è inceppato e negli ultimi tempi la classe dirigente ha iniziato a seguire una lunghezza d’onda che non era più quella della città.Il primo campanello d’allarme è squillato alle primarie del centrosinistra con la vittoria (anche quella insperata e inaspettata) di Massimo Carlesi contro il candidato dell’establishment Paolo Abati. Ed è lì che ha iniziato a nascere la vittoria del centrodestra. Non per il valore del candidato Carlesi (probabilmente il migliore che il centrosinistra poteva mettere in campo) ma perché sul fronte opposto si è capito che qualcosa in città era cambiato. E allora, invece di schierare il solito candidato di bandiera, destinato ad una gloriosa sconfitta, si è cercato un personaggio credibile e forte. E’ nata così la candidatura di Roberto Cenni, ma poteva essere anche quella ventilata a lungo di Andrea Cavicchi o di qualsiasi altro in grado di metterci la faccia e la reputazione. Qualcuno, però, che poteva parlare alla città: da pratese che parla ai pratesi. E’ stato così naturale che la maggioranza delle liste civiche, nate su problemi concreti e contingenti, finissero per essere attirate nell’orbita di Cenni, mentre il Pd niente ha fatto per almeno ascoltare le voci della Prato che si lamenta.I 15 giorni passati tra il primo turno e il ballottaggio, poi, hanno acuito ancora di più questo solco. E qui, forse, c’è stato l’errore strategico più grosso del centrosinistra, che ha messo in serio pericolo anche la Provincia, dove la candidatura di Cristina Attucci non aveva certo la stessa forza di quella di Roberto Cenni, ma dove Gestri ha prevalso solo grazie al sostegno quasi plebiscitario della Val di Bisenzio. Fallita la conquista del Comune al primo turno, infatti, la macchina elettorale è stata di fatto tolta dalle mani di Massimo Carlesi per essere gestita in prima persona da Martini e dal gruppo dirigente che ha fatto il bello e il cattivo tempo nell’ultimo decennio a Prato. E questo la gente lo ha capito, tanto che tra il primo e il secondo turno Cenni ha perso appena 997 voti (calo fisiologico, vista l’affluenza più bassa) mentre Carlesi ha avuto un crollo di 5.001 voti, vale a dire uno su dieci che l’aveva votato al primo turno non lo ha più rivotato. E i numeri non ingannano mai.
Claudio Vannacci