Positivo al coronavirus un detenuto su 558 attualmente reclusi nel carcere della Dogaia, vale a dire lo 0,2 per cento rispetto alla media nazionale di oltre l’1. In un panorama carcerario di assoluto contenimento del virus, Prato spicca ulteriormente grazie ad una serie di misure aggiuntive a quelle nazionali, frutto del confronto tra la direzione e le organizzazioni sindacali.
“Il dato pratese – il commento di Sandro Malucchi, segretario generale della Funzione pubblica della Cgil di Prato – rende giustizia all’ottimo lavoro del corpo di polizia penitenziaria che, a dispetto di una carenza del 14 per cento rispetto alla pianta organica – ha gestito la pandemia riducendola alla quasi assenza di contagio”. Massima attenzione ai dispositivi di protezione individuale, una sezione per la quarantena dei nuovi detenuti con tutto ciò che serve a evitare contatti con gli altri (isolamento di 11 giorni e spostamento nelle celle ordinarie all’esito del tampone negativo), otto celle per i positivi (praticamente mai usate): questi gli accorgimenti che hanno consentito che il coronavirus non si diffondesse.
Sono una decina gli agenti (quasi tutti asintomatici) che hanno contratto il virus fuori dal carcere e che non lo hanno diffuso tra colleghi e detenuti: “Un risultato non scontato – ancora Malucchi – se si pensa che sono una settantina le persone che si sono ammalate di coronavirus all’ospedale di Prato”. La quasi totale assenza di contagi alla Dogaia si inserisce in un quadro ben diverso: stando ai dati dell’agenzia regionale sanità, quasi il 5 per cento degli oltre 10mila casi pratesi è riferibile alle Rsa, il 6 per cento è rappresentato dagli operatori sanitari e, come detto, diverse decine di persone hanno contratto il virus in ospedale. “Il contenimento del fenomeno alla Dogaia – spiega Giulio Riccio, membro dell’esecutivo Cgil polizia penitenziaria toscana – è merito dell’estrema attenzione alle procedure anticontagio e alla disponibilità a fare ore di straordinario per fronteggiare l’assenza dei colleghi positivi. Gli agenti si sono trovati a gestire un’emergenza nuova e inaspettata e lo hanno fatto con grandissima professionalità”. A tenere il coronavirus fuori dai cancelli del carcere è stata anche la tecnologia: udienze fatte in videoconferenza e videochiamate con i parenti. “Una valida alternativa – le parole di Riccio – per garantire da una parte il rispetto delle procedure di giustizia, dall’altra il mantenimento dei legami affettivi. Non solo: non consentire gli ingressi di persone esterne ha messo in sicurezza gli operatori oltre che i detenuti e ha azzerato il rischio di introduzione di stupefacenti, per fare un esempio”. La tecnologia è una delle leve su cui il sindacato punta perché si tratta di ridurre i costi (i detenuti non vengono più necessariamente trasferiti ai palazzi di giustizia per le udienze) e aumentare il livello di sicurezza generale. La Dogaia ha investito molto con la realizzazione di diverse sale in grado di collegarsi con l’esterno anche contemporaneamente.
Il carcere della Dogaia è praticamente Covid free. La soddisfazione degli agenti: “Ecco come abbiamo fatto”
In questo momento è positivo al coronavirus un detenuto su 558 attualmente reclusi. La media è dello 0,2% mentre quella a livello nazionale è dell'1%: "Merito dell’estrema attenzione alle procedure anticontagio"
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