I bollettini che ogni giorno vengono pubblicati parlano di numeri di contagiati, guariti, e deceduti, per ciascuno una storia, un cammino che non sempre ha il lieto fine. Maria Paglia è la sorella di un uomo di 70 anni malato di Alzheimer che è deceduto in una Rsa a causa del Covid e ha voluto raccontare la sua esperienza a Notizie di Prato. Un racconto che parte dalla solitudine della famiglia e del malato, ma anche dalla gratitudine per gli operatori della struttura.
Con il primo lockdown le Rsa sono state blindate, poi a maggio è stato possibile poter rientrare nelle strutture, ma bisognava mantenere la distanza e i gli incontri avvenivano in giardino. “Mio fratello, proprio per la sua malattia – racconta Maria – aveva bisogno del contatto fisico, io gli parlavo, ma lui percepiva la mia distanza. E’ stato uno strazio, inoltre non potevo più imboccarlo, un momento che ci univa più che mai. Vederlo in quelle condizione era un dolore per lui e per me”. I mesi sono passati, e a settembre la seconda ondata di contagi ha portato le Rsa a blindarsi nuovamente “A fine settembre anche lui, come molti altri ospiti e operatori della struttura, è stato contagiato e le sue condizioni si sono aggravate inesorabilmente. Dopo 21 giorni mi è stato proposto di portarlo a casa, visto che non era più contagioso, ma aveva bisogno di un’assistenza infermieristica che io non ero in grado di dargli. Così ho rifiutato la proposta. Ho chiesto di farmelo vedere, di predisporre una stanza per potergli stare accanto negli ultimi respiri, per poter comunicare con lui e fargli percepire la mia presenza, il mio affetto, ma non mi è stato concesso. Queste sono disposizioni nazionali, alla Rsa lo hanno curato e assistito fino alla fine, ma a me è rimasta la consapevolezza che per i malati di Alzheimer e per gli anziani non si stia facendo abbastanza. I politici, i funzionari, i dirigenti delle ASL hanno avuto tutti i mesi estivi per preparare un piano di emergenza, per progettare soluzioni adeguate e umane a problemi complessi. Chi ricopre incarichi istituzionali deve assumersi la responsabilità di questo fallimento, di questa colpevole e tragica mancanza di lungimiranza, della propria negligenza infine. Chi doveva intervenire e non l'ha fatto deve rispondere ai familiari che chiedono giustizia per i propri cari morti in solitudine.”.
Il cammino di sofferenza non si è concluso con la morte, c’è stata un’appendice : “Mio fratello è stato messo nudo in un sacco grande, non l'ho potuto vestire perchè così vogliono le disposizioni nazionali. Nelle nostre Rsa si muore prima di tutto di solitudine, di abbandono, e poi di Covid. Questa è la sofferenza dei malati che non possono urlarla e il dolore dei familiari che devono solo chinare la testa. Ai malati Covid e poi ai defunti non è stata riservata nessuna compassione, nessuna umanità, sono stati trattati ed eliminati come la spazzatura, rinchiusi in un sacco grande, nell'indifferenza generale e nel silenzio di tutti. E anche una parte di me è finita ed è stata chiusa in quel sacco”.