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L’intervento/Marcello Gozzi (Uip): “La questione cinese non si risolve ignorando le cifre del fenomeno”


Redazione


Il servizio di Report di ieri sera ed altri interventi sulla stampa hanno portato alla ribalta la situazione critica generata dalle imprese cinesi del distretto del mobile imbottito di Forlì, accomunato dagli stessi intervistati a quello di Prato. In realtà l’unico elemento, anche se importantissimo, che davvero è in comune è la diffusissima illegalità presente nelle imprese cinesi dei due distretti. Per il resto prevalgono le differenze. A Forlì i cinesi si sono inseriti nel core business locale, che rischia di scomparire a causa di meccanismi “al ribasso” resi possibili dall’illegalità: l’analogia più stretta è con le jeanserie marchigiane; sempre a Forlì le aziende cinesi lavorano come conto terzi delle imprese industriali locali. Viceversa, a Prato i cinesi si sono inseriti in un segmento relativamente sguarnito, quello della confezione, e non in quello principale, il tessile; e rispetto a quest’ultimo si sono collocati in una posizione pressoché totalmente parallela. Sostanziale anche la differenza quantitativa: da fonti sindacali locali nel forlivese ci sarebbero 40 aziende cinesi, mentre a  Prato ce ne sono quasi 4.000. Due zeri in più non da poco.Tutto questo mi porta ad una considerazione: capita che, in sedi ufficiose, all’Unione venga contestato di diffondere dati sovrastimati sulla presenza dei cinesi in città e sulla portata dell’illegalità da essi derivante. Accade da sempre, ma le accuse sono più frequenti soprattutto da quando il Presidente dell’Unione Marini ha portato quei dati alla ribalta della Conferenza nazionale sull’immigrazione. Forse è utile ribadirli, quei dati, così da dare modo a chi non li conosce di apprenderli e a chi abbia solidi motivi di contestarli di farlo senza indugio, a beneficio di una miglior conoscenza del ‘fenomeno cinese’ di Prato.Intanto, le presenze regolari delle persone fisiche: dovrebbe essere il dato più facile ma non è così, perché non necessariamente chi ottiene il permesso di soggiorno a Prato risiede a Prato né, viceversa, chi sta a Prato lo ha ottenuto nella nostra città; inoltre i residenti possono essere divenuti tali a fronte di un titolo di soggiorno valido ma poi venuto meno. La Prefettura parla di 14.000 regolari, verosimilmente adulti, cui sono da aggiungere i  minori iscritti sui passaporti dei genitori; questi ultimi, ci viene detto, sono da calcolare nella misura del 30% in più. Eccoci quindi ai 18.000-18.500 di cui da tempo si parla. I clandestini, sempre cinesi: la Prefettura li stima fra i 15.000 e i 20.000. La stessa Prefettura rileva però che il numero medio delle postazioni di lavoro presenti in una confezione cinese è di 15-20 e, essendo le confezioni quasi 3.000 (anche se in parte sono scatole ormai vuote), una stima anche molto più alta è tutt’altro che azzardata. Escludiamo senz’altro un calcolo sul filo dei limiti massimi dei fattori, comunque una stima di (ad esempio) 45.000  lavoratori cinesi (17 dipendenti per 2.700 confezioni fa 45.900) non è più inattendibile di altre. Fra questi sono compresi anche i regolari, ma non i bambini piccoli, né, soprattutto, coloro che fanno capo alle altre quasi 900 imprese cinesi diverse dalle confezioni! In questo quadro, si può affermare in tutta tranquillità che fra regolari e irregolari i cinesi a Prato non possono essere meno di 35.000, ma che potrebbero superare abbondantemente i 45.000.Veniamo alle imprese. I dati della Camera di Commercio aggiornati al 3° trimestre 2008 evidenziano che le imprese con titolare cinese sono appunto 3.875, di cui, come ricordato poco sopra, 2.926 del settore moda; la loro vita media è 18 mesi. Fin qui siamo nella (relativa) certezza. Da qui in poi bisogna necessariamente affidarsi a stime, soprattutto a quelle che ha fatto Silvia Pieraccini ne “L’assedio cinese”. Le stime sono per definizione discutibili, ma queste sono fatte incrociando attendibilmente dati doganali e ulteriori stime sui tessuti importati dalla Cina, prezzi praticati dalle imprese cinesi e loro capacità produttiva: difficile confermare che siano ineccepibili, ma ancor più dimostrare che sono infondate. Quindi, parliamo di 360 milioni di capi realizzati annualmente e di 2 miliardi di fatturato, di cui la metà a nero. Se il quadro è questo, e come Unione siamo convinti che, con un margine ragionevole di approssimazione, lo sia, la ‘questione cinese’ mostra tutto il suo potenziale di destabilizzazione socio-economica del distretto. In ogni caso, i dati quantitativi vanno sempre tenuti presenti: ignorarli non serve.”

Marcello GozziDirettore Unione Industriale Pratese

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è una testata registrata presso il Tribunale di Prato
(N° 4 del 14/02/2009)
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Direttore responsabile: Claudio Vannacci

Editore: Toscana Tv srl

Redazione: Via del Biancospino, 29/b, 50010
Capalle/Campi Bisenzio (FI)

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