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Passa attraverso una sorta di tracciabilità della sicurezza del prodotto made in Prato una delle chiavi a disposizione del distretto per ritagliarsi un nuovo ruolo nel tessile mondiale. Ed è un progetto, questo, al quale stanno già lavorando fianco a fianco mondo imprenditoriale, categorie economiche e tecnici del settore, come spiega Giuseppe Bartolini, direttore del Laboratorio del Buzzi, una delle eccellenze della nostra città, visto che con i suoi 15 tecnici impegnati a tempo pieno (“ma ne servirebbe di più vista la mole di lavoro” dice Bartolini) è l’unica struttura in Italia di laboratorio legato ad una scuola.”Il tema della sicurezza del prodotto – dice Bartolini – è sempre più centrale. Basti pensare che ormai il 70% dei nostri test riguardano proprio questo aspetto. Ed è proprio qui che Prato può giocare un ruolo importante, soprattutto se riuscirà a lavorare a stretto contatto con le aziende del sistema moda. Si tratta, in parole povere, di avere ad una certificazione dell’intera filiera: dalla filatura alla tessitura passando per la tintoria e per tutte le fasi di finissaggio. Naturalmente questo può avvenire solo con la collaborazione dei committenti”. Insomma, un progetto che porta a qualificare il distretto pratese in maniera virtuosa non solo nel segno della qualità ma anche, e soprattutto, in quello della sicurezza. E in questo caso un organismo come il Laboratorio del Buzzi si candida, insieme all’altra eccellenza del Laboratorio Brachi, a rappresentare l’organo indipendente e accredito a garantire e certificare la bontà del prodotto.Del resto già ora la struttura interna al Buzzi – e i cui ricavi vanno a finanziare l’attività della scuola – è l’unica insieme ad un laboratorio del Nord Italia ad essere accreditata presso l’Ente nazionale di accreditamento dei laboratori Accredia-Sinal. Cosa che l’autorizza a compiere le prove e i test sulla famigerata norma Gb18401, introdotto dalla Cina a tutela dei prodotti importati. “Il test – spiega Bartolini – serve ad evidenziare la presenza di sostanze nocive ma anche la resistenza dei colori. E sta mettendo in difficoltà non poche aziende produttrici. Ma questo non perché sia una norma particolarmente rigida. Anzi. Questa prevede infatti solo 8 parametri, mentre test equivalenti richiesti in Europa hanno decine di parametri. A mettere in difficoltà le nostre aziende è in particolare il parametro del Ph, ma questo per un semplice motivo: che i cinesi hanno messo un valore copiato dai marchi di qualità, che però lo ritengono volontario e non obbligatorio. Il problema, comunque, dovrebbe essere presto risolto, visto che mi risulta che il valore sarà presto adeguato”.Potrebbe quindi risolversi presto il problema dell’asimmetria nell’import-export tra Cina ed Europa, al momento al centro del dibattito politico-economico. La norma cinese, infatti, vale solo per le merci in entrata, mentre nulla di simile funziona per quella in uscita. Ma è lo stesso Bartolini a non calcare troppo la mano sul tema della sicurezza: “Fondamentalmente – dice – i prodotti cinesi sono sicuri. Semmai è il ciclo produttivo che provoca danni all’ambiente. Ma il tessuto non presenta, salvo eccezioni, rischi per la salute. Quello su cui, invece, dovrebbero essere intensificati i controlli è sulla conformità delle composizioni rispetto a quello che è indicato nelle etichette”.
Claudio Vannacci