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"Pulp fashion", così la scorsa settimana la trasmissione di RaiTre "Report" ha intitolato un servizio dedicato all'arrivo in Europa dalla Cina di tessuti potenzialmente pericolosi senza che le attuali normative siano in grado di fermare il loro ingresso alle frontiere.
Il servizio si è basato anche su una ricerca commissionata dagli industriali pratesi al BuzziLab e svolto da studenti di quinta sotto la guida del direttore Giuseppe Bartolini. Sono emerse molto bene le asimmetrie normative fra Europa e Cina e la concorrenza sleale praticata da quest'ultima.
E proprio alla redazione di "Report" il presidente della sezione Sistema moda di Confindustria Toscana Nord, Andrea Cavicchi, ha scritto una lettera per ribadire allo stesso tempo "apprezzamento per essere riusciti a documentare con grande efficacia ciò che sta accadendo, ormai da anni, alla produzione tessile" e per invitarli a visitare anche il tanto di buono che ancora c'è nel tessile italiano.
"Quello mostrato nella trasmissione – scrive Cavicchi – è uno scempio che riguarda la qualità e la salubrità dei prodotti, le condizioni dei lavoratori, gli effetti sull'ambiente. E' particolarmente lodevole la menzione dell'importazione dell'inquinamento, di cui si parla ancora troppo poco: è giusto che si sappia che i capi d’abbigliamento provenienti dalla Cina nella maggioranza dei casi sono stati trattati con sostanze pericolose per l'ambiente che contaminano i nostri fiumi e mari attraverso il semplice atto domestico del lavaggio in lavatrice. E' bene che i consumatori siano consapevoli del rischio di farsi complici involontari di chi non si fa scrupoli di danneggiare l'ambiente".
"Ad integrazione del lavoro che avete fatto – prosegue Cavicchi -, ci piacerebbe raccontare che il mondo della moda non è limitato a brand prestigiosi da un lato e imprese extracomunitarie irresponsabili dall'altro: esiste, ed è vivo e vitale, anche un tessile moderno, attento ai temi della sostenibilità e dell'innovazione, ben consapevole della responsabilità sociale di impresa, vincolato a normative europee e nazionali stringenti. È il nostro tessile, quello dei distretti italiani e delle loro filiere produttive; il tessile di Prato da cui vi scrivo, che si trova a convivere a sua volta con imprese cinesi, soprattutto del comparto della confezione, insediate nel nostro territorio e troppo spesso tendenti a riprodurre anche da noi una concezione di impresa inaccettabile. La parola chiave è, o meglio dovrebbe essere, "tracciabilità": i consumatori hanno il diritto di sapere la storia di ciò che comprano e le imprese corrette quello di vedersi identificare e valorizzare. Ma, ad oggi, nonostante la rilevanza del tema, non ci sono leggi che lo impongano. Vi invitiamo a venirci a trovare. Dopo lo sforzo che avete compiuto, con successo, per documentare il volto peggiore del tessile, venite a vedere quello migliore. Non vi proponiamo quadretti idilliaci ma la fatica quotidiana e gli investimenti che facciamo per resistere nel contesto che avete descritto così bene".
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