Il 2024 è stato un anno in chiaroscuro per l’occupazione in provincia di Prato. Il saldo occupazionale complessivo, infatti, si mantiene positivo su base annuale (+1.198 unità), ma evidenzia una decisa contrazione rispetto all’anno 2023 (-66,80%). Inoltre, soltanto tra novembre e dicembre nel settore manifatturiero si sono persi 1.716 posti di lavoro di cui 1.569 solo nel tessile e nell’abbigliamento, emorragia che non ha risparmiato neppure le confezioni cinesi.
Trend negativo anche per la trasformazione dei contratti da tempo determinato a indeterminato (-10,5% rispetto all’anno precedente) con una perdita di 404 unità, infine le ore di cassa integrazione autorizzate sono state 2.272.225 ore con un incremento del 78,8% rispetto all’anno 2023 quando erano state 1.272.173 ore.
A dirlo il report dell’Osservatorio del mercato del lavoro e della formazione realizzato da Fondazione PIN per conto di Cogefis e del Comune di Prato “Si tratta di dati che evidenziano le difficoltà del sistema produttivo pratese, che ha contenuto le cessazioni solo grazie al ricorso alla cassa integrazione – sottolinea il ricercatore del Pin Enrico Fabbri – I saldi infatti sono positivi grazie al buon andamento dei primi sei mesi delle confezioni che, tuttavia, nel mese di dicembre hanno subito un tracollo con la fuoriuscita di 1.097 lavoratori, mentre nella seconda parte dell’anno la perdita di questo comparto è stata di 1.200 unità. Il tessile, nella seconda parte dell’anno, ha perso 629 posti di lavoro, fra ottobre e dicembre 421”.
Analizzando ulteriormente i dati emerge che gli avviamenti al lavoro hanno subito un calo del 1,9% (-938 unità) rispetto all’anno precedente, mentre le cessazioni sono aumentate del 3,1% (+ 1.468 unità). Gli uomini presentano un saldo occupazionale significativamente più alto rispetto alle donne.
Nel 2024, i contratti a tempo determinato presentano un saldo positivo pari a 3.102 unità (+ 13,3% rispetto al 2023) mentre le proroghe sono diminuite del 3,2% rispetto al 2023 passando da 12.888 a 12.470, con un calo di 418 unità.
“Questo trend – spiega Fabbri – indica che, nonostante le aziende continuino a rinnovare i contratti a termine, lo fanno in misura ridotta rispetto all’anno precedente. Una tendenza che riflette un contesto più ampio caratterizzato da incertezze economiche e da una maggiore prudenza nelle strategie occupazionali adottate dalle imprese”.
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