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Un modello produttivo e commerciale del tutto innovativo, con la creazione di holding tra aziende complementari ma non concorrenti, affidate a manager. Ecco quale potrebbe essere la ricetta per salvare il distretto e la filiera pratese. Un'idea che sta già circolando tra gli imprenditori pratesi e che è alla base di un progetto replicabile messo a punto dallo studio di commercialisti Biancalani.
Questo è il momento, infatti, di rivedere il modello produttivo ed adeguarlo alle nuove richieste del mercato, magari con un progetto replicabile che possa riunire in più aggregazioni un centinaio di aziende leader di mercato. Tra le strade percorribili, anche quella di holding fra aziende complementari che possa presentarsi sul mercato con una diversificazione di prodotti, riuniti sotto un unico brand, dove però, ciascuno continua a mantenere la quota maggioritaria della propria azienda, “condividendo” una quota nella holding.
Se ne è parlato durante l'ultima riunione della sezione Sistema Moda di Confindustria Toscana Nord, dove è stata presentata appunto l’esperienza di Florence, che riunisce tre aziende complementari di territori diversi e posizionate sul segmento alto del mercato.
Il fine è preservare la filiera, il mezzo è la creazione di holding all’interno del distretto. “La base del modello è la complementarietà del prodotto o del mercato – spiega Andrea Biancalani – ma anche una visione comune della strategia e la presenza di un manager, che sappia guidare l’holding. Il modello prevede anche una partecipazione di minoranza della stessa società nel capitale delle lavorazioni, nell’ottica sia di garantire gli ammodernamenti produttivi finanziati ad esempio con i progetti industria 4.0, sia di assicurare lavoro ed evitare che si perdano pezzi di filiera. Lavorazioni che, a loro volta, dovranno impegnarsi in processi di crescita dimensionale assorbendo gli operatori più piccoli, finanziati in parte con il capitale delle stesse holding”.
Un’organizzazione che potrebbe anche altri benefici dalla centrale di acquisto unica, a un maggiore accesso al credito, da economie di scala a standard qualitativi garantiti ed ambientali comuni fino ai benefici fiscali.
Il modello messo a punto coinvolge aziende di medie dimensioni, ad esempio tre lanifici di cui uno specializzato in tessuto a navetta, uno a maglia ed uno tecnico, che possano raggiungere una massa critica di almeno 35 e 50 milioni e così aggredire il mercato con più forza e diversificazione di prodotto.
Intanto nel distretto qualche imprenditore si è già mosso verso la strada delle aggregazioni, il lanificio Bisentino che si è unito, per il settore sciarpe, con GibiWear dando vita alla Manifattura Big, ma anche il lanificio dell’Ulivo che è passato da una gestione familiare a una manageriale con l’ingresso di un fondo d’investimento nella società.
“Con questi incontri – ha spiegato Maurizio Sarti presidente di Sistema Moda Confindustria Toscana Nord – ho cercato di proporre stimoli di riflessione partendo anche da esempi reali e concreti. Ovviamente poi la decisione finale è di ciascun imprenditore e il modello deve essere pensato per ogni singola aggregazione. Credo però che la pandemia abbia accelerato il cambiamento dei processi produttivi e organizzativi del distretto”.
L’ipotesi di Biancalani trova consensi anche nel mondo del sindacato: “Quello discusso – commenta Massimiliano Brezzo della segreteria di Cgil – è un modello che riteniamo valido e che coglie tutte le nostre proposte fatte negli anni e sintetizzate nella nostra lettera aperta del 4 aprile, in pieno lockdown, con la quale indicavamo, per la salvezza della filiera, e quindi del distretto, di cominciare a discutere già da allora sul come saremmo ripartiti e non sul quando l’avremmo fatto, cosa che non competeva alle parti sociali. In quella occasione ribadimmo nuovamente che bisognava cambiare il modello, ricorrendo a “reti di impresa forti”, legate da patti di ferro. Meglio se fatti dai notai, con lo scambio di quote societarie. Un modello che garantisca ai committenti la capacità produttiva e ai terzisti il lavoro. Un modello che abbandoni le cosiddette aste dei mescoli e delle altre lavorazioni”.
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