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L’occasione persa: zero idee e proposte dal convegno del Pecci sulla crisi a Prato e in Toscana


Redazione


Avrebbe dovuto essere un’occasione per discutere del modo in cui la Toscana pensa di togliere le gambe, da viva, dalla recessione di questi tempi. Specialmente Prato, che è oramai diventata l’osservatorio privilegiato di tutte le crisi che attanagliano la regione: quella del distretto industriale, delle politiche di immigrazione con la conseguente erosione del consenso della sinistra. La realtà che ha offerto il convegno della Fondazione del consiglio regionale, tenuto ieri pomeriggio all’auditorium del museo Pecci è stata meno stimolante, riuscendo a trattare soltanto a metà “problemi e prospettive” di “Economia e società in Toscana”. Complice un dibattito che si è ben presto snodato attorno a questioni storiche, quasi tralasciando la ragione sociale di giornata: la prospettiva futura. In questo senso Giampiero Nigro, come storico dell’economia, ha voluto ribadire “la consapevolezza della complessità della situazione economica della Toscana o, per meglio dire, delle Toscane vista l’articolazione originaria delle realtà sociali della regione”. Per questo è sbagliato per esempio “ridurre l’economia toscana alla realtà del distretto tessile pratese”. Attenzione storica, che è stata ancora di più approfondita dal sociologo Carlo Trigilia, per il quale il modello toscano ha conosciuto una prima età dell’oro “alla fine dell’ottocento, quando si afferma la democrazia di massa e la Toscana diventa un luogo dove si sperimenta il socialismo municipale” per poi riprendere “fra gli anni ’70-’90 con l’innovazione politica, che permette alla Toscana ed alle altre regioni dell’Italia di mezzo di rispondere ai problemi con uno Stato sociale efficace”. Grazie anche ai meriti del Pci di allora “che selezionava la classe dirigente in base alla capacità di dare risposte, al di là dell’ideologia”. L’indebolimento del modello di oggi, pertanto, per Trigilia, si intreccia con la crisi politica a sinistra “capace soltanto di mantenere una rendita politica ed elettorale” e di non saper risolvere efficacemente i problemi come un tempo. Già, ma quali sono le soluzioni per l’avvenire toscano pratese? Trigilia è stato l’unico a proporre qualcosa di vagamente concreto all’interno del dibattito: “i soggetti locali devono mettersi insieme, reinventarsi facendo cooperazione” ha sostenuto il docente di sociologia economica, precisando la questione di fondo per Prato: “prima di chiedere gli interventi o le leggi speciali, comunque utili, dovrebbe mettersi insieme agli altri soggetti locali per ritrovare il sentiero dello sviluppo”. Gli altri, invece, si sono tenuti più sul vago. In particolar modo il terzo relatore del convegno, lo scrittore pratese Sandro Veronesi, distintosi per un discorso da intellettuale di sinistra di altri tempi, costruito soprattutto su citazioni e omaggi ai maestri socialdemocratici e comunisti. Prima con un riconoscimento all’economista Gunnar Myrdal, un must per la cultura da sinistra radicale, che “nel 1974 aveva previsto la crisi di oggi, esattamente come Paul Krugman due anni fa”, l’idolo più recente dei liberal. Per poi menzionare un po’ a sproposito Don Milani e Pasolini come ulteriori profeti “della crisi del sistema di sviluppo di riferimento” e concludere la cavalcata delle citazioni, omaggiando il collega e compagno Edoardo Nesi. “La sua nomina ad assessore alla cultura ed allo sviluppo economico è uno di quei gesti di immaginazione che potrebbe salvarci dalla crisi” ha concluso lo scrittore, riempiendo di perplessità più di uno degli spettatori di ieri, organizzatori compresi. Poco dopo, infatti, la presidente Fabiana Angiolini ha ribadito l’obiettivo della Fondazione del consiglio regionale “oltre a promuovere e far conoscere l’attività dell’assemblea, introdurre dei correttivi all’autoreferenzialità”. E quel correttivo sarebbe proprio servito ad indirizzare, almeno Veronesi, sui binari di una discussione più utile.

Carlandrea Adam Poli

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