Il distretto di Prato, secondo i dati presentati dalla ricerca Perimetro Reale realizzata da Pratofutura, si trova a un bivio: innovare anche attraverso le aggregazioni o rischiare un declino. Numeri concreti, anche se il campione è molto ristretto, hanno suscitato riflessioni da parte delle associazioni di categoria e dei sindacati.
“Con questa ricerca – ha spiegato Moreno Vignolini, presidente di Confartigianato Moda – è stato scritto ciò che tutti, in modo conscio o inconscio, sappiamo: non possiamo più ignorare il fatto che stiamo vivendo una fase di criticità. Ora è chiaro agli imprenditori, alle associazioni e anche alla politica. La soluzione che vedo non è tanto quella distrettuale, anche se Prato continua ad avere voce in capitolo nel sistema moda, ma di filiera, con aggregazioni anche extra territoriali. Dobbiamo guardare oltre il cancello della nostra impresa, con aggregazioni che possano raccontare la storia del prodotto e della produzione attraverso il valore aggiunto. C’è sfiducia nel lusso sfacciato e una ricerca di qualità che può essere sostenuta dalla filiera.”
Gli imprenditori di Pratofutura, però, sono poco propensi a fare aggregazioni extra territoriali: il 91% degli intervistati preferirebbe politiche di acquisizione nel distretto, il 78% fuori Prato, e il 51% con imprese estere. Per quanto riguarda la vendita, il 91% cederebbe a un collega di Prato, l’81% a uno fuori dal distretto e il 65% a uno straniero. Per quanto riguarda le aggregazioni, il 94% degli intervistati lo farebbe con un’azienda di Prato, il 90% con una fuori dal distretto eil 63% con un imprenditore straniero. Fusioni il 93% si fonderebbe con un imprenditore pratese e l’87% con uno di fuori dal distretto, il 59% con un’azienda estera infine per quanto riguarda le reti d’impresa il 93% degli intervistati si alleerebbe con pratesi l’83%. Con imprenditori fuori dal distretto e il 65% con aziende estere
È evidente che i cambiamenti siano in atto, ma secondo Maurizio Sarti, di Lanificio Sarti e consigliere della sezione Moda di Ctn, “bisogna capire le cause: gli ordini non arrivano, eppure questo dovrebbe essere un momento favorevole. I clienti chiedono sempre di più tracciabilità e sostenibilità del prodotto, che richiedono investimenti. Si potrebbe pensare, ad esempio, a un servizio distrettuale per gestire gli ordini concentrati in poche settimane senza preavviso. La situazione di smarrimento, però, la stanno vivendo anche i grandi brand.”
Tornando ai dati della ricerca, gli imprenditori più orientati al cambiamento hanno meno di 50 anni, mentre quelli over 60 sono più propensi a vendere. Per quanto riguarda il rapporto con il distretto, alla domanda su quanto sia importante per il business aziendale, il 44,8% ha risposto “molto”, il 27,2% “abbastanza”, il 17,6% “indifferente”, il 5,6% “poco” e il 4,8% “molto poco”. Sul futuro delle proprie aziende, invece, il 12% pensa che entro 5 anni sparirà, il 34,4% che crescerà, e il 53,6% che resterà stabile. Su questi dati è scettico Rodolfo Zanieri della Uil: “La richiesta di cassa integrazione è in crescita, non sono così ottimista sul futuro anche perché va considerato l’effetto Trump, che potrebbe impattare, attraverso i dazi, ancora di più sul sistema moda.”
Che ci sia un problema occupazionale, altro aspetto affrontato dalla ricerca di Prato Futura, lo conferma anche Mirko Zaccheo, segretario Femca Cisl Toscana: “Si avverte la fatica del distretto, le aziende devono essere più attrattive. Manca il personale, tanto che un’azienda ha inviato ai suoi dipendenti una mail chiedendo di segnalare profili qualificati da assumere; in cambio sarà corrisposto un compenso in denaro. A livello più generale, il cambiamento è necessario e deve andare proprio verso l’attrattività, e le aggregazioni potrebbero essere una soluzione.”
Che il distretto sia a un bivio lo conferma anche Juri Meneghetti, segretario generale di Filctem Cgil Prato e Pistoia: “Deve evolversi verso un modello più moderno e innovativo, partendo dalla resilienza. Se restiamo immobili, la preoccupazione per il futuro aumenta; ma se troviamo soluzioni basate su innovazione, aggregazione e unità, allora sono più fiducioso, perché possiamo ancora essere più credibili. Quindi, va riprogettata una parte del distretto.”
Ma gli imprenditori intervistati hanno poca fiducia nella politica: il 38,4% reputa modesto o non sufficiente il suo impegno, il 22,8% lo considera non efficace, il 20,8% non lo percepisce affatto, il 12,8% pensa che sia troppo orientato ai macro temi e poco alle aziende, e solo il 5,6% lo promuove.
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