Passi avanti per la certificazione di filiera della moda arrivano con il decreto Pmi, attualmente in discussione al Senato. Tuttavia, nel passaggio alla Camera, Confartigianato Moda auspica che alcuni aspetti vengano ulteriormente rafforzati, in particolare la valorizzazione dell’intera filiera produttiva. “Oggi – spiega Moreno Vignolini, presidente di Confartigianato Moda – è il brand a garantire l’etica e la sostenibilità sociale dei propri fornitori. Ma per essere davvero credibile, il Made in Italy ha bisogno che la certificazione non si riduca a un mero adempimento burocratico, bensì diventi uno strumento di reale valorizzazione del sistema produttivo”.
Secondo Vignolini, la certificazione dovrebbe basarsi sul riconoscimento degli audit e delle attestazioni già ottenute dalle imprese, sulla verifica concreta della capacità produttiva dei fornitori e su una remunerazione equa delle commesse, in modo da redistribuire il valore lungo tutta la catena di fornitura. “È fondamentale – aggiunge – che il rilascio della certificazione sia affidato agli enti competenti, e non ai revisori contabili”.
Le proposte avanzate dall’associazione sono state in parte accolte dal Ministero, che ha esteso il perimetro della certificazione a tutta la filiera.
Resta invece in sospeso la questione del “ultra fast fashion”: nel decreto Concorrenza non sono stati approvati gli emendamenti che prevedevano di sottoporre al regime di responsabilità estesa del produttore (EPR) anche le aziende che, pur producendo fuori dall’Unione Europea, vendono in Italia.
“Siamo in stretto contatto con il Ministero del Made in Italy – conclude Vignolini – per comprendere le motivazioni di questa scelta. Ci auguriamo che l’obiettivo venga raggiunto, magari attraverso la legge di bilancio o il decreto Milleproroghe. In Francia, del resto, una misura analoga è già stata adottata con successo”.
Tematiche che verranno discusse anche in occasione del Tavolo della Moda convocato al ministero il prossimo 17 novembre
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