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Artigianato toscano, nel 2024 la cassa integrazione (Fsba) per il tessile abbigliamento cresciuta del 50%


Bilancio negativo anche fra aperture e cessazioni delle imprese. La flessione maggiore nel manifatturiero (-761 unità, pari al -2,8%), con punte elevate nell’abbigliamento (-131)


Alessandra Agrati


Il 2024 ha segnato per l’artigianato toscano il definitivo esaurimento della fase di ripresa che aveva fatto seguito alla recessione innescata dalla pandemia. Secondo i dati contenuti nell’XI Rapporto annuale sul settore artigiano dell’ Ebret (Ente Bilaterale dell’Artigianato Toscano) Prato ha mantenuto i livelli del 2023 (-1%), l’analisi è stata condotta su quasi 800 aziende artigiane toscane con dipendenti. Sul fronte dell’occupazione dopo 10 anni di crescita (con l’unica eccezione del 2020, anno del covid) sono tornati a diminuire i dipendenti artigiani, con un calo di quasi 2.100 unità (-1,5%) nel manifatturiere (circa 2mila) con un vistoso peggioramento del bilancio – già negativo – del 2023: flessione anche nella metalmeccanica (-341) e nel tessile (-295). Anche l’edilizia artigiana ha virato in negativo, dopo che già nel 2023 si erano evidenziati i primi sintomi dell’esaurirsi della spinta assicurata dai bonus fiscali. Leggera flessione anche per il terziario. Il bilancio finale dell’artigianato toscano avrebbe potuto essere anche peggiore senza i massicci interventi di integrazione salariale assicurati dal Fondo di Solidarietà Bilaterale (FSBA), che in Toscana hanno interessato circa 1.250 imprese e oltre 9mila lavoratori. Gli importi rendicontati al Fondo sono stati pari a oltre 21 milioni di euro (+53% rispetto al 2023), collocando la Toscana al primo posto in Italia anche in termini di giorni rendicontati (quasi 283mila, equivalenti a circa 1.100 lavoratori-anno full-time). Forte la concentrazione settoriale, con tre ambiti “contrattuali” che hanno assorbito quasi il 90% delle erogazioni: la quota più ampia delle risorse è andata alla filiera pelle (oltre 10 milioni rendicontati, +84%), seguita da metalmeccanica (5 milioni, +67%) e tessile-abbigliamento (circa 4,5 milioni, +50%).Quasi paradossali appaiono quindi le crescenti difficoltà di reperimento del personale incontrate, nel corso degli ultimi anni, dalle imprese artigiane toscane: se nel 2017 le difficoltà riguardavano una figura ricercata su tre, nel 2024 il mismatch fra domanda e offerta è raddoppiato, raggiungendo il 62%. Ciò è riconducibile a fattori di natura “strutturale” legati ad aspetti demografici e socio-economici, ma nell’ultimo triennio potrebbe derivare anche da aspetti di natura salariale: nel 2022 le retribuzioni artigiane si sono infatti ridotte di quasi il 10% in termini reali.
La congiunzione fra condizioni di accesso al credito problematiche, peggioramento del ciclo economico ed incertezza dello scenario internazionale sul fronte economico e geo-politico ha inciso pesantemente sulla propensione all’investimento. La quota di imprese artigiane che hanno realizzato investimenti nel corso del 2024 è scesa al 22 per cento, oltre dieci punti percentuali in meno rispetto al biennio 2022-2023, riportando l’indicatore sui valori di minimo del 2020-2021; un sintomo che ben descrive il “clima psicologico” degli imprenditori artigiani. Anche la nati-mortalità delle imprese artigiane ha fatto segnare un bilancio di segno negativo nel 2024, con un saldo fra entrate e uscite pari a -602 unità. Forte è stato l’incremento delle cessazioni, passate dalle 6.579 del 2023 a 7.166 (+8,9%); si tratta di un valore storicamente elevato. Alla tenuta delle costruzioni (+0,3%) e dei servizi (+0,2%) si è contrapposta la flessione del manifatturiero (-761 unità, pari al -2,8%), con punte elevate nella filiera pelle (-217 unità), nell’abbigliamento (-131) e nel legno-mobili (-109).
I dati sui primi mesi del 2025 non portano novità significative. Le aspettative degli imprenditori artigiani segnalano un’ulteriore limatura al ribasso del volume d’affari (-0,5%), con il +0,9% del terziario che non riesce a compensare il -1,7% del manifatturiero. A far registrare le maggiori difficoltà (-6,1%) è di nuovo la concia-pelletteria-calzature. Restano poi depresse le prospettive legate ai processi di investimento, con potenziali ripercussioni negative di medio/lungo termine. Occorre peraltro evidenziare che l’indagine è stata effettuata in un periodo antecedente all’introduzione dei dazi americani ed è dunque plausibile ritenere che le aspettative per il 2025 siano suscettibili di una revisione al ribasso. Il mercato statunitense è del resto uno sbocco importante per alcuni comparti regionali a forte presenza artigiana, con potenziali ripercussioni non solo per gli imprenditori direttamente esposti con l’estero, ma anche (soprattutto) per coloro che operano come subfornitori/contoterzisti all’interno delle filiere produttive. Fra i comparti che presentano congiuntamente una quota elevata di addetti artigiani e di export verso gli Stati Uniti troviamo l’abbigliamento (23 mila addetti artigiani, il 48% del totale, peso dell’export USA pari all’11%), la pelle (15mila addetti artigiani, 28% e 15%), la trasformazione alimentare (10 mila addetti, 47% e 30%), il legno-mobili (quasi 8 mila addetti, 39% e 12%), la lavorazione di minerali non metalliferi (oltre 3 mila addetti artigiani, 25% e 32%).

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