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Tre processi, nessuna condanna: il ministero boccia lo stesso la richiesta di cittadinanza e il Tar gli dà ragione


Respinto il ricorso presentato da una donna albanese finita più volte sul registro degli indagati ma sempre assolta. I giudici: "In un caso è emersa la connivenza con ambienti malavitosi". La donna, nel tempo, chiamata a rispondere di associazione finalizzata al traffico di droga, ingiurie, minacce e occupazione abusiva di un immobile


Redazione


Se anche i procedimenti penali finiscono in assoluzioni ma evidenziano una “connivenza” con ambienti malavitosi, è legittimo respingere la richiesta di cittadinanza italiana. Lo ha stabilito il Tar del Lazio che ha dato ragione al ministero dell'Interno che nel 2017 ha spento, perché più volte finita al centro di questioni giudiziarie, le aspirazioni di una donna albanese di diventare cittadina italiana. La donna, assistita dall'avvocato Anna Giannerini, ha trascinato il ministero davanti ai giudici amministrativi e ha smontato i motivi alla base della bocciatura. Un'operazione che però non ha prodotto i risultati sperati. In particolare, il ministero contestava che il nome dell'albanese era finito in tre fascicoli processuali: in ordine di tempo, uno del giudice di pace di Prato per ingiurie e minacce, e due del tribunale di Firenze per associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti e per occupazione abusiva di un'immobile. “Tre fascicoli e nessuna condanna”, la sottolineatura dell'avvocato Giannerini. Nel dettaglio: il procedimento per ingiurie e minacce è stato chiuso per remissione di querela, quello per droga è scaturito in un processo con rito abbreviato e con il giudice delle udienze preliminari che ha pronunciato una sentenza di assoluzione “per non aver commesso il fatto”, quello per l'occupazione abusiva è stato archiviato perché il giudice penale ha ritenuto la questione di competenza civile.
Secondo il tribunale amministrativo, che si è soffermato in particolare sul procedimento più rilevante, vale a dire quello per associazione finalizzata al traffico di droga, il ministero, che pure decide avvalendosi di un'ampia discrezionalità, ha legittimamente respinto la richiesta di cittadinanza italiana. “L'amministrazione – si legge nella sentenza – ha valutato in maniera corretta la complessiva situazione della donna che risulta attinta da numerose notizie di reato tra cui una di assoluto allarme sociale, quale l'associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Non vale eccepire che quest'ultima notizia di reato è culminata nella sentenza di assoluzione perché se da un lato il giudice ha escluso la sussistenza di condotte penalmente rilevanti, dall'altro ha comunque definitivamente accertato che la donna versava in una situazione espressamente definitiva di connivenza con ambienti malavitosi dediti al traffico internazionale di stupefacenti, i cui componenti erano pure riconducibili al proprio nucleo familiare”. A proposito degli altri pregiudizi penali, i giudici del Tar del Lazio hanno rimarcato che “pur riconoscendo la minore gravità e il minor allarme sociale, e pur riconoscendo l'insussistenza delle condizioni per coltivare l'azione penale, si tratta di condotte sicuramente indici di mancata adesione al contesto sociale di riferimento”.
Relativamente all'esercizio del potere discrezionale in materia di cittadinanza che non può sconfinare in arbitrio, il Tar ha promosso la valutazione del ministero dell'Interno che deve sempre considerare gli elementi nel loro complesso per stabilire un giudizio “sull'effettiva assimilazione dei valori fondamentali su cui si regge la comunità di cui il richiedente aspira a far parte”.
La donna albanese è stata condannata al pagamento delle spese di giudizio: mille euro.

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è una testata registrata presso il Tribunale di Prato
(N° 4 del 14/02/2009)
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Redazione: Via del Biancospino, 29/b, 50010
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