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Suicidio alla Dogaia, il garante regionale dei detenuti: “Strage infinita, vergogna generale”. Bugetti: “Il ministro Nordio venga a Prato”


Dopo la morte del 27enne che si è impiccato nella sua cella e in giorni particolarmente complicati per la situazione negli istituti penitenziari italiani dove le rivolte sono una costante, la richiesta è solo una: interventi urgenti per tornare alla normalità. Sappe: "Espulsione degli stranieri, tossicodipendenti in comunità, strumenti di difesa agli agenti"


Nadia Tarantino


Continua a restare un tema centrale quello delle carceri italiane nelle quali, dall’inizio dell’anno a oggi, si contano sessanta suicidi tra i detenuti e sei tra gli agenti penitenziari. L’ultimo suicidio è quello di sabato 27 luglio nel reparto di ‘media sicurezza’ della Dogaia. Vittima un giovane di 27 anni, trovato in fin di vita da un agente e morto poco dopo l’arrivo all’ospedale di Prato (leggi). “E’ una strage infinita, una vergogna generale”, il commento durissimo del garante dei detenuti della Toscana, Giuseppe Fanfani. Un nuovo dramma che si consuma nei giorni di rivolte generali negli istituti carcerari italiani: Roma e Biella i casi del fine settimana, ma anche la Dogaia è stata teatro, nella serata di venerdì, di un tentativo di rivolta subito soffocato, ma non senza fatica e timori, dagli agenti.
“Il dramma del ventisettenne che si è ucciso a Prato – ancora Fanfani – è il dramma di tutti i detenuti. Nelle carceri italiane il sovraffollamento, per assurdo, diventa marginale. Manca tutto, soprattutto manca il rispetto del dettato costituzionale secondo il quale la pena deve rispondere a criteri di umanità e tendere alla rieducazione”.
Il ventisettenne che si è ucciso a Prato impiccandosi, proveniva da Viareggio. Sposato con figli, era in carcere per scontare condanne per rapine e furti. Il suo fine pena era fissato nel 2032. Qualche mese fa non era rientrato dopo un permesso e, una volta rintracciato e arrestato, era stato denunciato per evasione.

La sindaca Ilaria Bugetti e il presidente del Consiglio comunale Lorenzo Tinagli hanno scritto una lettera al ministro della Giustizia Carlo Nordio per chiedere un incontro urgente sul carcere pratese ed invitarlo a verificare di persona la gravità della situazione con l’obiettivo di adottare dei miglioramenti. “Il carcere di Prato – si legge nella lettera – attualmente non ha un direttore titolare. Non ha un comandante titolare. Ha una gravissima carenza di organico di polizia penitenziaria e si trova in una condizione di sovraffollamento”. “La Casa Circondariale La Dogaia di Prato – si legge ancora nella lettera – è un istituto penitenziario complesso per tipologia di detenzione, per numero di detenuti, per una elevata percentuale di stranieri e per un elevato numero di detenuti con problemi psichiatrici”.

Il deputato del Pd Marco Furfaro ha presentato un’interrogazione urgente al ministro della Giustizia Nordio chiedendo di intervenire in maniera urgente “perché siamo di fronte – si legge nell’interrogazione – ad una situazione inaccettabile per un Paese civile”. 
Le condizioni all’interno delle carceri sono difficili e dure per tutti, compresi gli agenti costretti a fare i conti con il problema principe che è la carenza di organico, ma anche con il sovraffollamento che rende particolarmente complicato il controllo e la gestione, e con la rabbia dei detenuti che cresce giorno dopo giorno. “Il suicidio avvenuto nel carcere di Prato – scrive il segretario generale del Sappe, Donato Capece – deve far riflettere sulla condizione in cui vivono i detenuti e su quella in cui è costretto a operare il personale di polizia penitenziaria. Questi eventi segnano i nostri agenti, che spesso sono agenti giovani, lasciati da soli nelle sezioni detentive per la mancanza di personale. Servirebbero anche più psicologi e psichiatri vista l’alta presenza di detenuti con disagio mentale”. Dal sindacato appello al presidente del Consiglio, Giorgia Meloni: “Un detenuto che si toglie la vita in carcere è una sconfitta per lo Stato. Servono provvedimenti rapidi, tutti siamo responsabili per queste morti assurde”. Tra i provvedimenti suggeriti, l’espulsione degli stranieri, il ricovero dei tossicodipendenti in comunità, la dotazione di strumenti di difesa per gli agenti che hanno a che fare con la violenza di alcuni detenuti, oltre a un sistema di cura adeguato per quei detenuti le cui condizioni psichiche non sono compatibili con la convivenza in una struttura come il carcere.
Sulla vicenda è intervenuto anche il vescovo di Prato Giovanni Nerbini: “Provo un dolore immenso perché una vita si è spezzata a causa della disperazione – le sue parole -. Noi però siamo chiamati ad andare oltre il dolore, dobbiamo constatare il fallimento di una democrazia che ha nella carta costituzionale dei principi bellissimi, che però non riescono a trovare una concretezza. Questa situazione dovrebbe trovarci tutti coinvolti e impegnati – aggiunge monsignor Nerbini – è fondamentale offrire e strutturare servizi e percorsi che facciano sentire le persone accolte, sostenute e accompagnate verso un effettivo reinserimento”.

“La morte del giovane detenuto nel carcere della Dogaia – dice Marco Biagioni, segretario Pd Prato – è una tragedia annunciata. Siamo al terzo suicidio nell’arco di pochi mesi. Secondo l’associazione Antigone ogni anno nella nostra casa circondariale si registrano 200 casi di autolesionismo. Sono numeri allarmanti che non possono lasciarci indifferenti ma devono spingerci ad agire con forza per dare piena attuazione all’articolo 27 della nostra Costituzione. La Dogaia, come noto, è cronicamente sotto organico, dal contesto sanitario a quello amministrativo, dal personale di polizia penitenziaria agli educatori. Investire nelle risorse umane all’interno del carcere, potenziando il numero di professionisti specializzati in ambito sociale, psicologico e sanitario, è fondamentale per migliorare la qualità dell’assistenza fornita ai detenuti ma anche le condizioni di lavoro di chi opera all’interno della struttura. Occorrono percorsi di rientro sociale integrati, graduali e accompagnati fuori dal carcere e programmi finalizzati alla creazione di attività lavorative, formative, sociali e culturali sia all’interno che all’esterno della struttura penitenziaria”.

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