Entravano tra le 7 e le 8 della mattina e uscivano non prima delle 22 o anche le 23. Nel migliore dei casi, quattordici ore senza mai mettere il naso fuori dalla ditta e, tolte le tre pause da dieci minuti ciascuna per la colazione, il pranzo e la cena, senza interruzioni. Turni di lavoro massacranti per gli almeno ventuno operai che i carabinieri hanno contato nei due mesi di costante controllo della confezione di Miao Kedan, il primo imprenditore cinese arrestato a Prato per sfruttamento del lavoro. Operai cinesi, clandestini e per questo in stato di bisogno: ecco che il loro datore di lavoro è finito dritto in carcere ieri, martedì 22 gennaio. Ci sono le immagini delle telecamere installate di nascosto dai carabinieri a raccontare quello che avveniva nella confezione di via Sabotino, “80 metri quadrati di magazzino non completamente destinato a locale lavorazione dove – descrivono le carte dell'inchiesta del sostituto procuratore Lorenzo Gestri che hanno portato in carcere l'imprenditore e imposto il divieto di dimora a Prato alla sua compagna e collaboratrice – ci sono 24 macchine per cucire con un incredibile sovraffollamento di persone che lavorano immerse tra materiale vario e con uno spazio vitale così minimo da esporre gli operai a stress psicofisico”.
L'ordinanza di custodia cautelare mette insieme tutti gli elementi raccolti dal Nucleo investigativo dei carabinieri coordinato dal sostituto Gestri per provare lo sfruttamento operato dall'imprenditore che ha approfittato dello stato di bisogno dei suoi connazionali offrendo turni di lavoro fiaccanti senza riposo, zero condizioni di sicurezza e igiene del luogo di lavoro e un posto letto dei quindici ricavati nella sua casa in via Pistoiese.
L'inchiesta è partita dopo il sopralluogo dei tecnici della Asl che lo scorso novembre sono riusciti a scovare la confezione di Miao Kedan praticamente nascosta tra le case e senza alcuna indicazione. E mentre i tecnici bussavano alla porta, i dodici cinesi al lavoro – stando alle carte dell'inchiesta – cercavano di evitare il controllo spegnendo le luci e nascondendosi chi sotto le macchine per cucire, chi sotto i cumuli di stoffe e chi nel bagno. Tentativo fallito come quello di nascondere il loro impiego alle macchine per cucire che sprigionavano invece un forte calore perché in funzione fino a un momento prima. Alla fine di quel controllo solo una cinese fu identificata attraverso la foto del permesso di soggiorno salvata sul telefonino. Tante macchine per cucire e solo una dipendente regolarmente assunta, la convivente e collaboratrice del titolare. Gli accertamenti ordinati dalla procura alla guardia di finanza hanno rilevato che la confezione è stata aperta nel 2013 e che il titolare avrebbe dichiarato un reddito di circa 20mila euro nel 2014, di quasi 40mila nel 2015, di -2.500 euro nel 2016, e di circa 5mila nel 2017. Cifre incompatibili, come viene sottolineato dagli investigatori, con il quadro restituito dall'inchiesta.
Miao Kedan comparirà venerdì prossimo davanti al giudice per l'interrogatorio di garanzia che, invece, slitta di qualche giorno per la convivente, anche lei chiamata a rispondere di sfruttamento del lavoro.
Sfruttamento lavoro, i retroscena dell’inchiesta: operai nascosti sotto le macchine per cucire durante il primo controllo
Il primo accesso nella confezione dell'imprenditore arrestato ieri risale allo scorso novembre: i tecnici della Asl trovarono dodici operai che si erano nascosti per evitare il controllo. Le indagini dei carabinieri sono partite dopo la segnalazione alla procura: telecamere nascoste nel capannone hanno documentato l'attività dei lavoratori
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