Scoperti 46 lavoratori in nero, di cui 28 privi di permesso di soggiorno, 11 aziende che si sono viste sospendere l’attività, 107.620 euro di sanzioni previste per le violazioni commesse in materia di lavoro, 37 prescrizioni per violazioni in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, corrispondenti a 75.845 euro di ammende. E’ questo il bilancio, ancora parziale, del blitz contro lavoro nero e sfruttamento portato a termine in provincia di Prato nell’ambito del progetto Ue “Alt Caporalato”, coordinato dall’Ispettorato nazionale del lavoro e che vede coinvolti anche gli operatori dell’Oim (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni).
Nel mirino sono finite 16 imprese del settore manifatturiero tessile e dell’abbigliamento gestite da cittadini di nazionalità cinese. Sono state passate al setaccio da una task force composta da ispettori del lavoro di Prato e Pistoia, Salerno, Sassari e Firenze, oltre che dai carabinieri del Comando provinciale e del Nucleo dell’Ispettorato del lavoro di Prato, affiancati dai militari del Gruppo Tutela del lavoro di Roma e dagli ispettori dell’Inps e dell’Inail della Toscana, con la collaborazione della polizia municipale di Prato.
Al termine dei controlli dieci imprenditori sono stati denunciati per reati che vanno dallo sfruttamento, all’occupazione di lavoratori privi di titolo di soggiorno a violazioni in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro.
Nel corso di una delle ispezioni, due cittadini cinesi – che occupavano 8 lavoratori privi di permesso di soggiorno in una confezione tessile, dei quali 6 clandestini sul territorio italiano – sono stati arrestati per sfruttamento di manodopera straniera sprovvista di permesso di soggiorno. Per entrambi è stata già emessa la misura interdittiva del divieto di esercitare l’attività imprenditoriale per 12 mesi.
“Il crescente numero di operai cinesi clandestini trovati al lavoro nelle aziende controllate, mai così alto negli ultimi anni – viene spiegato in una nota -, segna una inversione di tendenza rispetto al recente passato, in cui i fenomeni di sfruttamento hanno visto il rilevante coinvolgimento di lavoratori provenienti dal Pakistan, dal Bangladesh e dall’Africa”.
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