L'arresto dello spacciatore non fu convalidato dal giudice delle indagini preliminari che ritenne non sufficiente a dichiarare la pericolosità sociale il solo fatto che l'uomo non avesse un lavoro e neppure un domicilio stabile, e sostenendo che una sola dose di droga non potesse bastare a rubricare il fatto come grave. La Cassazione, accogliendo il ricorso presentato dal procuratore Giuseppe Nicolosi, ha bocciato questa interpretazione e ha annullato il provvedimento del gip ritenendo legittimo l'arresto dello spacciatore, un nigeriano di 23 anni. Il giovane finì in manette lo scorso febbraio quando i carabinieri lo sorpresero a spacciare cocaina; poco più di mezzo grammo lo stupefacente sequestrato. Con il nigeriano c'era un'altra persona che riuscì ad allontanarsi e non fu mai rintracciata.
Secondo il giudice chiamato a decidere se confermare oppure no l'arresto facoltativo, non c'erano i presupposti per mantenere la misura: mancavano, a suo avviso, la gravità dell'offesa e la pericolosità sociale. Il gip rilevò che si trattava della cessione di una sola dose di droga, sebbene pesante, commessa da un indagato senza precedenti e che, solo per il fatto di essere senza fissa dimora e disoccupato, non poteva dirsi socialmente pericoloso.
“In tema di arresto facoltativo – ha scritto la Cassazione – il giudice della convalida deve operare un controllo di mera ragionevolezza ponendosi nella stessa situazione di chi ha operato l'arresto per verificare, sulla base degli elementi al momento conosciuti, se la valutazione di procedere all'arresto rimanga nei limiti della discrezionalità della polizia giudiziaria e trovi dunque ragionevole motivo nella gravità del fatto e nella pericolosità del soggetto. Il giudice deve operare il controllo sull'esistenza dei presupposti senza esorbitare: non può sovrapporre – spiega ancora la Cassazione – una propria autonoma interpretazione di elementi oggettivi evidenziati nel verbale di arresto”.
La Corte suprema, in pratica, ha sottolineato la necessità di tenere separate le valutazioni proprie del giudice rispetto alla scelta della polizia giudiziaria determinata dagli elementi emersi nel corso dell'operazione: in questo caso, si trattava di cessione di droga in concorso, di contatti telefonici frequenti tra l'arrestato e l'acquirente a dimostrazione di un'attività di spaccio non occasionale, e l'ammontare dei soldi trovati nella disponibilità dello spacciatore che non trovava giustificazione in una occupazione lecita.
Sono passati troppi mesi e la decisione non avrà ricadute sullo spacciatore ma definisce la correttezza dell'operato dei carabinieri.
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Il fatto risale allo scorso febbraio. Lo spacciatore finì in manette dopo essere stato colto in flagranza di reato a vendere cocaina ma l'arresto non fu convalidato. La decisione del giudice delle indagini preliminari sfociò nella reazione del procuratore Nicolosi a cui ora il tribunale supremo ha dato ragione
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