Operai sfruttati con turni massacranti, niente ferie o malattie pagate, contratti part time a fronte di impegni lavorativi di 9 ore giornalieri per una retribuzione che non superava i 600-700 euro mensili, insufficiente a garantire un’esistenza dignitosa, come ribadito dallo stesso giudice. Sembra lo scenario, purtroppo consueto, di tante attività cinesi del distretto illegale, come denunciato da tempo dai Sudd Cobas. Invece stavolta a gestire le due ditte finite nel mirino della Procura, era un italiano: Gennaro Iacomino, un imprenditore di origini campane, condannato dal Tribunale di Prato a due anni di reclusione per aver sfruttato numerosi operai di origine nordafricana. Il giudice gli ha inflitto anche alcune pene accessorie in materia di rapporti economici con la pubblica amministrazione. Assolti, invece, alcuni familiari di Iacomino, che erano finiti a processo.
L’inchiesta, coordinata dalla Procura di Prato, rappresenta, come specificato dagli stessi magistrati, un “caso emblematico”: sia per la nazionalità dell’imprenditore sfruttatore sia per il sostanziale atteggiamento di discriminazione etnica a cui erano sottoposti gli operai nordafricani, non solo sfruttati ma anche scherniti e fatti oggetto di insulti razziali oltre che a scherzi di pessimo gusto, come quando lo stesso Iacomino li avrebbe minacciati con una pistola a salve. Il giudice ha anche sottolineato come i lavoratori africani fossero sottoposti ad una sorta di isolamento dal resto dei dipendenti dell’azienda, in modo da occultare agli occhi degli altri il trattamento loro riservato.
Le due aziende finite al centro dell’inchiesta operavano nel settore del riciclo dei capi di abbigliamento. Settore, come sottolinea la stessa Procura in una nota, dove spesso è stata registrata l’influenza dei clan camorristici. Erano stati alcuni operai sfruttati, con le loro denunce, a mettere in moto la macchina investigativa.
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