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Omicidio Cini, nelle intercettazioni in auto la “confessione” del cognato


"L'ho preso a calci, gli ho rotto lo sterno, il costato, l'ho troncato": così parlava in macchina, da solo, Daniele Maiorino, in carcere con l'accusa di aver ucciso Alessio Cini la mattina dell'8 gennaio, davanti alla loro abitazione nelle campagne di Agliana. Un racconto preciso e dettagliato quando ancora nessuno sapeva la modalità, la dinamica e la causa della morte della vittima


Redazione


“L'ho ammazzato, proprio una fine di m…”. “Il sangue che veniva fuori, ho commesso un omicidio”. “”L'ho preso a calci, gli ho rotto lo sterno, il costato. L'ho troncato”. “Ho perso il capo, può essere no? Gli ho dato fuoco”. Un 'soliloquio' crudo, raccapricciante, andato avanti per giorni, colto e registrato dalle microspie montate sull'auto di Daniele Maiorino, il 58enne in carcere da giovedì con l'accusa di aver ucciso il cognato (marito della sorella della moglie), Alessio Cini, 57 anni. I primi dialoghi in solitaria vengono intercettati il 10 gennaio, due giorni dopo la morte del tecnico tessile preso a sprangate sulla porta di casa – una villetta trifamiliare nelle campagne di Agliana, in località Ponte dei Baldi – ridotto in fin di vita e dato alle fiamme. Maiorino, come sostiene l'accusa, sta confessando a se stesso l'omicidio, sta raccontando cosa ha fatto, simulando perfino un interrogatorio con domande e risposte pronunciate con un tono della voce diverso a seconda che stia chiedendo o rispondendo. Maiorino racconta dettagli e lo fa in un momento in cui i giornali non hanno ancora rivelato in che modo è stato ucciso Alessio Cini. E' uno degli elementi più pesanti nella trentina di pagine dell'ordinanza di convalida del fermo, ma è anche l'elemento su cui l'avvocato difensore, Katia Dottore Giachino, è pronta a dare battaglia: “Ci sono molte parole incomprensibili – ha detto – non si capisce bene il soggetto. Ci affideremo ad un consulente, questo è un processo che si svilupperà esclusivamente sulle perizie”.
Ricostruito minuto per minuto l'ultimo spezzone di vita di Alessio Cini: i suoi spostamenti raccontati dalle telecamere di una ditta di costruzioni, da quelle dei vivai in mezzo ai quali sorge la villetta dove la vittima abitava con la figlia adolescente, accanto alla famiglia del cognato e ad un altro nucleo familiare. Ci sono le immagini e ci sono le testimonianze, tutte passate al vaglio e tutte ritenute attendibili, credibili. “Il mio assistito è determinato, non ha esitato durante l'interrogatorio, ha continuato a dirsi innocente e su questo lavoreremo – le parole dell'avvocato – abbiamo aggiunto circostanze e dettagli che non erano emersi durante la notte del fermo. Nomi? Nessuno”. Pesano, hanno pesato e peseranno i dialoghi in solitaria rispetto ai quali, nell'interrogatorio che poi ha portato al fermo, l'indagato ha preso le distanze parlando di intervento dell'intelligenza artificiale per incastrarlo. E si aggiunge l'intercettazione di una telefonata nella quale a Maiorino viene fatto notare che “come ha detto anche il tg, i cani (il suo e quello dei vicini) non hanno abbaiato e invece questi abbaiano sempre quando c'è qualcuno che non conoscono”.
L'interrogatorio di garanzia, ieri, lunedì 22 gennaio, davanti al sostituto Del Gaudio e al giudice delle indagini preliminari Martucci, è durato un paio di ore. I gravi indizi di colpevolezza sono stati giudicati sussistenti, così come il pericolo di fuga basato sui contatti con diversi extracomunitari: Maiorino resta in carcere. L'istanza dell'obbligo di dimora e, in alternativa, degli arresti domiciliari, è stata respinta.
Che interesse avrebbe avuto Maiorino ad uccidere il cognato? Per l'accusa il movente sono i soldi, quelli che Cini aveva ereditato dopo la morte della madre e su cui – ancora la procura – intendeva mettere le mani attraverso l'affidamento della nipote. “La ragazzina ha una mamma – ha spiegato la difesa – il patrimonio di Cini non sarebbe passato sotto il controllo del cognato”. Diversi gli accertamenti ordinati ed eseguiti dalla guardia di finanza sullo stato patrimoniale dei due nuclei familiari e il cui esito ha convinto l'accusa della validità del movente. In mezzo alle questioni economiche, anche la prospettiva di bloccare la vendita all'asta della casa nella quale Cini viveva; casa di proprietà della moglie e per la quale il tecnico tessile corrispondeva ogni mese 600 euro alla Isveg a titolo di occupazione. L'accusa sostiene che l'indagato aveva pensato a come beneficiare del patrimonio del cognato e torna il contenuto dei 'sililoqui': "Devo ammazzare lei" (dove lei è la cognata, moglie della vittima).
Le indagini degli investigatori vanno avanti, e di pari passo sono in corso le indagini difensive. L'avvocato Dottore Giachino lavora senza sosta.
Sant'Ippolito, frazione della periferia ovest di Prato, non si dà pace: Alessio Cini era uno del posto da sempre e aveva continuato ad esserlo anche dopo che era andato ad abitare ad Agliana, nella casa di famiglia della moglie. Era stato presidente del circolo Arci Rossi che continuava a frequentare abitualmente anche con la figlia, aveva tentato la vita politica candidandosi alle amministrative del 2004 con la lista “La sinistra per Prato viva”. Lavorava alla Microtex, solida azienda tessile, era ben voluto anche se con un carattere talvolta taciturno come hanno raccontato amici e colleghi. Era molto conosciuto nella sua zona così come è conosciuto l'uomo accusato di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà, originario della vicinissima Viaccia.

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