“Ci trovammo davanti ad una scena degli anni ‘90, a qualcosa che non eravamo più abituati a vedere, ad un infortunio che era accaduto da pochi minuti ma rimandava a immagini vecchie di almeno trent’anni”. A parlare è Stefano Busia, tecnico del Dipartimento di prevenzione e sicurezza della Asl Toscana centro, tra i primi ad arrivare nella fabbrica di Oste – l’orditura Luana – dopo la morte di Luana D’Orazio, l’operaia e mamma di 22 anni inghiottita dal macchinario a cui stava lavorando. Era il 3 maggio 2021 ma quell’infortunio mortale sapeva di antico, sapeva di quel periodo di così tanti morti che furono introdotti sistemi di sicurezza obbligatori che poi si rivelarono talmente efficaci da azzerare il numero delle vittime. Un infortunio mortale ricostruito oggi, mercoledì 10 gennaio, nel corso del processo a carico di Mario Cusimano, il manutentore chiamato a rispondere di omicidio colposo e rimozione delle cautele antinfortunistiche, le stesse, identiche accuse per le quali i titolari dell’azienda, i coniugi Laura Coppini e Daniele Faggi, hanno patteggiato rispettivamente due anni e un anno e sei mesi di reclusione (pena sospesa). Presente in aula, per la prima volta, l’imputato, difeso dall’avvocato Melissa Stefanacci. Presenti anche i genitori (costituiti parte civile come Inail, Femca Cisl Prato e Anmil), il fidanzato, i parenti di Luana.
È stata un’udienza – la prima della fase dibattimentale – incentrata sui tecnicismi, quelli utili e necessari a capire come funzionava l’orditoio al quale la giovane era addetta e, soprattutto, come era stato modificato per renderlo comunque produttivo pur senza le protezioni di sicurezza. È pacifico che quell’orditoio aveva subito modifiche e nessuno dice il contrario perché l’evidenza emerse nelle ore immediatamente successive alla tragedia anche con il ritrovamento di un compendio con all’interno “due fogli volanti che riportavano annotazioni a mano su degli schemi elettrici” (appunti poi attribuiti all'altro macchinario), ma si tratta di capire chi le operò, chi le attuò. Per il pubblico ministero, Vincenzo Nitti, fu Cusimano, ma l’avvocato Stefanacci, che ha scelto di giocarsi il tutto per tutto con il dibattimento, è convinta che non siano ancora emersi nella loro interezza tutti gli elementi che servono a raccontare fedelmente questa vicenda. Ed è stata battaglia in aula: la difesa è stata puntuale e puntigliosa e questo non è passato inosservato.
Davanti al giudice, Francesca Del Vecchio, hanno testimoniato due tecnici della Asl e l’ingegnere Carlo Gini, consulente della procura che periziò l’orditoio dell’infortunio e un altro praticamente uguale. Le dichiarazioni dell’ingegnere hanno ricalcato quelle dei dipendenti Asl: Luana era addetta ad un orditoio le cui manomissioni avevano messo fuori uso i dispositivi di protezione. “Il macchinario – è stato detto, spiegato e ripetuto – funzionava anche a saracinesca alzata perché le alterazioni avevano eliminato i blocchi, avevano cioè fatto in modo che i microinterruttori che, in condizioni normali, rallentano la rotazione del subbio se la protezione è sollevata, non ricevessero mai input di anomalie grazie alla realizzazione di ponticelli”. Così anche per l’altro orditoio.
Il pubblico ministero ha chiesto ad uno dei tecnici della Asl da quanto tempo quella saracinesca era sollevata e la risposta non ha lasciato dubbi: “C’era una ragnatela sulle estremità superiori e la catena aveva preso una forma a ginocchio che lascia intendere che era così da tanto. Inoltre, durante un sopralluogo, chiedemmo al caporeparto di abbassare la saracinesca e lui ci guardò stupito perché non sapeva come si facesse quella manovra”. Ma il punto centrale è un altro: stabilite le alterazioni e stabilito che se non fossero state operate l’infortunio di Luana avrebbe avuto un finale diverso (o almeno ciò è altamente probabile), a chi si debbono attribuire? La difesa di Cusimano ha fatto emergere come negli anni siano intervenuti altri manutentori, almeno due, come dimostrano le fatture trovate e sequestrate ai titolari. Ed è emerso altro dai tecnici Asl: “Cusimano veniva chiamato quando c’era bisogno di riparare guasti o di fare interventi più complessi mentre alla manutenzione spicciola provvedeva Faggi”. Domanda: “E quelle manomissioni necessitano, per essere realizzate, di quali competenze? Sono operazioni spicciole o complesse”? Una domanda che non ha trovato una risposta certa, scientifica, univoca e che è rimasta nell’alveo della soggettività perché serve la conoscenza del macchinario e del suo funzionamento, ma ciò non esclude che possa essere ugualmente alla portata di chi non fa il manutentore di professione. “È alla portata di un qualsiasi orditore – ha detto il consulente della procura – la sostituzione della brida e della menabrida che consentono il moto rotatorio del subbio; è alla portata di molti la realizzazione dei ponticelli; necessita di una competenza più approfondita qualche altro tipo di alterazione”.
Luana, la mattina del 3 maggio 2021, fu agganciata nella fase finale della lavorazione, quella dello scaricamento; l’orditoio era in modalità automatica e viaggiava a forte velocità. “Possiamo solo ipotizzare che Luana si sia avvicinata alla parte in movimento, agganciata e trascinata in uno spazio ristretto, inghiottita e arrotolata come i fili”. Una descrizione cruda: “Lo so come è morta mia figlia – le parole di Emma Marrazzo – quei fili quel giorno si sono colorati del sangue di Luana che in quel rullo ha fatto quattro giri completi. Voglio giustizia per lei e per le tante, troppe persone che vanno al lavoro e non tornano più a casa. Luana vittima di omicidio sul lavoro e come lei tutti gli altri”. Prossima udienza a maggio.
Riproduzione vietata