L’avvocato pratese del detenuto morto a Sollicciano: “Lì è un vero inferno, Fedi aveva solo 20 anni e non ha retto”

“Aveva intrapreso un percorso di recupero, si incamminava su una nuova strada e vedeva vicina la data della scarcerazione. Una decina di giorni fa l’ho incontrato per un colloquio difensivo e non ho avuto la minima percezione del dramma”. A parlare è Ivan Esposito, avvocato pratese, difensore di Fedi, il tunisino di 20 anni che nel pomeriggio di ieri, giovedì 4 luglio, si è impiccato nella sua cella a Sollicciano. Fedi è il 54esimo detenuto che si toglie la vita in carcere dall’inizio dell’anno. L’avvocato Esposito conosceva bene Fedi. Due anni fa esatti – il 4 luglio 2022 – il primo incontro: “Quel giorno fu arrestato per una rapina commessa a Firenze – racconta il difensore – mi ha nominato e non ho mai smesso di seguirlo. A ottobre scorso aveva finito di scontare la condanna per quel reato e ora stava finendo la pena per alcuni reati commessi quando era minorenne. Il mio grande rammarico è averlo incontrato di recente e non aver capito quale idea stesse attraversando la sua mente. Quando ci siamo visti mi è sembrato tutto normale, non ho avvertito alcun rischio. E invece avrei dovuto capire e non essere riuscito a cogliere neppure una sfumatura mi provoca un dispiacere enorme”.
Fedi, ieri, ha deciso il suo fine pena: ha aspettato che il compagno di cella venisse chiamato in sala colloqui per chiudere definitivamente i conti con la giustizia. Quando è stato dato l’allarme era già troppo tardi. Fedi aveva alle spalle un passato breve quanto difficile: qualche reato per tirare a campare in un Paese, l’Italia, che i suoi occhi di ragazzino gli avevano sicuramente restituito come il paradiso, la terra di un riscatto possibile, di un futuro migliore, di una vita più dignitosa. Non è andata così. Per lui e per tanti altri non è andata così. “Era entrato a Sollicciano in una situazione di difficoltà – ancora Ivan Esposito – ma era riuscito a superare l’impatto grazie anche ai medici e agli psicologi. Per qualche tempo si era dedicato a varie attività ma la vita di un detenuto non è facile ed evidentemente non ha più retto ed è arrivato a questo gesto estremo”.
Un carcere particolarmente difficile quello fiorentino: “Dico disagiato per non usare termini più forti – prosegue l’avvocato – Fedi aveva sulle spalle la fatica di due anni dentro ma nulla faceva presagire la tragedia. E’ il secondo mio assistito che si suicida in carcere: il primo aveva problemi psichiatrici, ma Fedi no. Fedi era un ragazzo senza quel tipo di disagio”.
Non si stacca dal telefono l’avvocato Esposito: la mamma del giovane chiama continuamente, chiede disperatamente solo che le restituiscano il figlio, che lo riportino a casa, accanto a lei. “Sono già al lavoro per il rientro della salma in Tunisia in tempi rapidi”. Fedi, 20 anni appena, diventa il simbolo della sconfitta dello Stato: “Una sconfitta per tutti in un Paese civile che ha un problema e non lo affronta, non lo vuole affrontare. Non ci sono strumenti idonei, oggi, per garantire una rieducazione, un reinserimento nella società una volta pagato il debito con la giustizia”. Il tema è drammatico. Profondamente, enormemente drammatico. E mentre se ne parla, l’elenco dei suicidi in cella si allunga. Non è solo una tristissima conta: sono nomi, cognomi, volti, padri, figli, fratelli. Persone. (nadia tarantino)