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Era una vera e propria agenzia di servizi illegali con sede a Prato e gestita da cittadini italiani quella smantellata dalla Guardia di Finanza di Firenze che ha eseguito 10 ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip di Prato su richiesta della procura, mentre altre due persone per ora sono riuscite a sfuggire all’arresto. Oltre a loro ci sono circa una quarantina di indagati e circa 50 aziende coinvolte, tutte a conduzione cinese.L’indagine, chiama “Yellow Macro tex”, è stata condotta dalle Fiamme gialle e dall’agenzia regionale delle Dogane con la collaborazione del nucleo di pg della procura di Prato. In manette sono finiti sei cittadini cinesi e quattro italiani. Ed erano proprio questi ultimi – titolari, amministratori e dipendenti della società F&R International Broker, con sede in via Rimini 7 a Prato – ad operare in modo che i loro “committenti” cinesi potessero evadere iva e dazi per una cifra che è stata stimata in quasi 22 milioni di euro. L’accusa per tutti gli arrestati è di associazione a delinquere finalizzata al contrabbando doganale e falsità ideologica. Sono stati sequestrati anche 35 conti correnti e sette abitazioni (tra Firenze, Prato, Grosseto e Cerreto Guidi) per un valore complessivo di 2,1 milioni di euro.Si tratta del secondo duro colpo inferto al sistema illegale del distretto parallelo, dopo il blitz che ieri ha portato in carcere oltre 30 persone per l’operazione antiriciclaggio. E, come ha detto il procuratore Piero Tony, viene confermato l’aspetto preoccupante che vede imprese italiane mettersi al servizio della criminalità, offrendo tutte le proprie competenze tecniche per commettere reati. In questo caso il meccanismo architettato dalla società pratese consentiva di far arrivare ogni anno almeno un migliaio di container evadendo l’Iva e i dazi antidumping, ad esempio facendo passare il poliestere come cotone. Dal 2006 ad oggi si calcola che l’organizzazione abbia importato dalla Cina merce per almeno 60 milioni di euro, evadendo dazi doganali ed Iva per 21,6 milioni di euro. Il compenso che l’organizzazione chiedeva per ogni containaer sdoganato variava dai 6mila agli 8mila euro. Un giro enorme se si pensa che nei primi quattro mesi dell’anno gli investigatori hanno accertato l’arrivo di 250 container di tessuti provenienti dalla Cina e destinati a più di 15 aziende, tutte attive sul territorio pratese. Non a caso i capi italiani dell’organizzazionne (un 52enne originario di Grosseto e la sua compagna, pratese di 46 anni) vivevano in un lussuoso appartamento nel cnetro di Firenze ed erano possessori di auto di lusso (2 Ferrari e un Range Rover) nonché di barche e motoscafi.Le dogane utilizzate per far arrivare le merci erano quelle di Napoli, La Spezia, Lubiana e Vienna. In ognuno di questi luoghi c’erano un memebro dell’organizzazione che, sotto le direttive dell’ufficio di Prato, si occupava di presentare le dichiarazioni di importazione, spesso intestate a società fittizie o prestanome (le cosiddette “cartiere) per coprire i reali destinari del carico. Erano queste “cartiere” ad accollarsi l’Iva che poi, regolarmente, non pagavano sparendo nel nulla nel giro di pochi mesi. Tra Iva non pagata e dazi doganali non versati, così, sul mercato arrivava merce a prezzi molto concorrenziali rispetto a quella offerta da imprese che operavano nel rispetto della legalità.
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