Arte Stampa, la stamperia di tessuti con sede a Viaccia posta sotto sequestro in via preventiva dalla procura di Prato nell’ambito di un’inchiesta sullo sfruttamento del lavoro e altre irregolarità emerse in seguito al tentato omicidio di un operaio (leggi), aveva già rischiato di staccare la spina nel 2019, ma allora i problemi erano ambientali. L’azienda, infatti, finì nel mirino di Arpat per le denunce dei residenti su cattivi odori, sugli sversamenti sospetti e sui macchinari in funzione anche di notte, ben oltre le 22 come invece autorizzato. L’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente rilevò irregolarità ‘a nastro’ nei tre mesi di osservazione e inviò agli uffici della Regione un’analisi dettagliata: emissioni in atmosfera non in linea con i parametri, temperature degli impianti di asciugatura superiori al massimo consentito, installazione di due macchinari per la stampa digitale sui tessuti senza la preventiva e obbligatoria comunicazione, rumori notturni. Note a cui la Regione rispose chiedendo ad Arpat di specificare meglio le irregolarità soprattutto in ordine ai cattivi odori prodotti dalle violazioni e alle conseguenze sulla salute dei cittadini. Arpat alzò le mani di fronte a quella richiesta: difficile, se non impossibile, procedere ad una quantificazione. L’interlocuzione trovò pochi precedenti: pare infatti che la prassi più ricorrente recepisse i rilievi e adottasse i provvedimenti suggeriti, nel caso di Arte Stampa la sospensione dell’autorizzazione ambientale. Finì tutto nel nulla e Arte Stampa continuò a lavorare a dispetto del ‘caso’ che era diventata con interrogazioni in Consiglio regionale e sollecitazioni all’allora sindaco Biffoni.
Nel 2020 arrivò dalla Regione il via libera all’installazione di due nuovi macchinari con relativo camino per l’emissione dei fumi: nulla di diverso rispetto a ciò che già era autorizzato ma con un carico maggiore di prescrizioni e con rigorosi controlli e autocontrolli. Da quel momento Arte Stampa sparisce dalle cronache. Se ne riparla dopo anni, lo scorso 26 gennaio quando un operaio cinese finisce all’ospedale in fin di vita per le coltellate assestate da un collega connazionale. L’uomo si salva e dal letto d’ospedale collabora con gli inquirenti. Dichiarazioni che fanno emergere il solito quadro che la procura mette nero su bianco chiedendo e ottenendo gli arresti di due imprenditori (il Riesame ha confermato): “lavoratori sfruttati, costretti a turni di dodici ore e più, sette giorni su sette, con retribuzione non congrua sottosoglia minima legale (normalmente in contati salvo che per alcuni regolari ai quali veniva corrisposta piccola parte con bonifico) e condizioni alloggiative e igienico-sanitarie precarie, con un gruppo di lavoratori costretti a dormire sul luogo di lavoro e in un locale adiacente alle sede dell’azienda”. Quattordici gli operai cinesi di Arte Stampa senza permesso di soggiorno e quattro in regola con i documenti, tutti tenuti in condizioni di sfruttamento.
Le indagini della procura hanno anche accertato come “per i lavoratori l’attività ordinaria fosse caratterizzata da alto rischio perché svolta attraverso l’impiego di macchinari pericolosi (calandre, plotter industriali, ramose, generatori di vapore), attrezzature semoventi come carrelli elevatori, per il cui impiego i lavoratori irregolari non erano stati adeguatamente formati”.
I riflettori della procura sono accesi, dunque. Il titolare di fatto e il suo collaboratore più stretto sono agli arresti da oltre un mese: sfruttamento del lavoro e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, le accuse. Più di sessanta i posti di lavoro in ballo (agli sfruttati, infatti, si aggiungono 44 dipendenti part-time e 6 a tempo pieno): la procura ha affidato a due amministratori giudiziari il compito di verificare quale strada imboccare: rimettere in moto l’attività riportando tutto nei binari della legalità oppure aprire la procedura di liquidazione. (nadia tarantino)
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