La Corte federale d’appello della Fgi (Federazione ginnastica d’Italia) ha confermato la sentenza di primo grado che lo scorso maggio ha inflitto 45 giorni di sospensione da qualsiasi attività sociale e federale all’allenatrice di ginnastica artistica, in forza alla Asd Arcobaleno Ginnastica Prato, accusata di metodi troppo severi nei confronti delle ginnaste, in larga parte minorenni. A portare la vicenda davanti ai giudici era stata la richiesta di risarcimento danni arrivata alla donna, alla società sportiva e per conoscenza alla Federazione a fine 2024 quando un genitore denunciò che la figlia, una bambina di 11 anni, aveva riportato lesioni ad un piede in seguito ad un brusco intervento di correzione di un esercizio che stava svolgendo. L’episodio, sia nel procedimento di primo grado che in quello di Appello (il ricorso è stato presentato sia dall’allenatrice per ridurre se non azzerare la sospensione, sia dalla procura federale per veder riconosciute le lesioni), non ha trovato riscontri e così i giudici hanno pronunciato sentenza di assoluzione. Lo stesso non è stato invece per le altre contestazioni: “L’idioma improprio” usato per richiamare le ragazze alla disciplina, all’attenzione, al rigore e all’impegno, e “l’aver richiesto di visionare la chat che le ginnaste condividevano con un’altra allenatrice”. Anche questo era emerso durante la ricostruzione dei fatti: parole tutt’altro che gentili rivolte alle allieve e “l’indebita ingerenza – come si legge nella sentenza di Appello – nella sfera più intima di soggetti minori, la cui riservatezza deve essere protetta, trattandosi di diritto fondamentale previsto da plurime fonti, a partire dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo”. Un’atleta aveva acconsentito a mostrare il proprio telefono e ciò, come ha ribadito la difesa dell’allenatrice, senza costrizione ma si è comunque trattato – nel convincimento dei giudici – di una intromissione non giustificata.
I giudici, a proposito dei metodi adottati dall’allenatrice, hanno scritto: “L’unico elemento emerso in maniera netta è legato alla severità praticata che di per se stessa non appare censurabile, in considerazione del rigore richiesto in ambiti sportivi che impongono disciplina costante e assoluto rispetto, anche se si deve sottolineare come sia indispensabile che l’ambiente che accoglie atlete minori sia il più possibile empatico, rispettoso delle esigenze psicofisiche delle giovanissime sportive e supportato sempre da linguaggio adeguato a cura di educatori, tecnici e dirigenti, al fine di evitare traumi in grado di compromettere un percorso equilibrato”. Insomma, se sono comprensibili i metodi ‘duri’, è censurabile il linguaggio usato. L’allenatrice ha già scontato i 45 giorni di sospensione ed è tornata alla sua attività.
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