Una piantagione di marijuana curata in ogni dettaglio per consentire una raccolta ogni due mesi e massimizzare così il profitto. Questo trovarono i carabinieri in una serra nell'area industriale di Montemurlo lo scorso gennaio. In manette finirono tre cinesi, uno dei quali oggi, giovedì 23 novembre, è stato condannato a tre anni di reclusione con il rito abbreviato (avvocato Alessandro Fantappiè). Il giudice delle udienze preliminari del tribunale di Prato, Francesca Scarlatti, ha recepito pienamente la richiesta del pubblico ministero, Vincenzo Nitti. I complici l'hanno fatta franca per il momento: di loro si sono perse le tracce quasi subito dopo che, in sede di convalida dell'arresto, furono disposti sì i domiciliari come per l'imputato di oggi ma, a differenza di quest'ultimo, senza braccialetto elettronico perché non fu evidentemente ritenuto fondato il pericolo di fuga.
Il blitz dei carabinieri del Nucleo investigativo e dei colleghi della tenenza di Montemurlo risale al 28 gennaio. All'interno di un capannone fu scoperta una piantagione di marijuana dotata di impianto di illuminazione (collegato abusivamente alla rete comunale) per sollecitare e sveltire la produzione. Gli investigatori ricostruirono che la coltivazione era cominciata oltre un anno prima e che, attraverso un concime particolare, era in grado di produrre un migliaio di piante ogni due mesi. Ingente il giro d'affari: circa un milione di euro l'anno.
Una volta raccolta e trattata, la marijuana veniva confezionata sottovuoto e spedita nel nord Europa.
Gestivano piantagione di marijuana ma a processo c’è solo un imputato. Gli altri due si sono resi irreperibili
Il giudice aveva stabilito il braccialetto elettronico solo per il presunto capo della banda mentre per gli altri disposti solo i domiciliari dai quali sono evasi per poi sparire. Oggi la sentenza al termine del rito abbreviato: tre anni, come chiesto dal pubblico ministero
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