Accusato di una violazione al Codice dell’ambiente per il superamento del valore massimo di zinco presente nelle acque reflue in uscita dall’impianto del Calice, è stato assolto ‘perché il fatto non sussiste’. Si è chiuso oggi, martedì 5 marzo, il processo a carico di Daniele Daddi, 41 anni, responsabile Gida per le materie ambientali. Difeso dagli avvocati Rachele Santini e Alberto Rocca, Daddi era finito sul registro degli indagati nel 2021 dopo un controllo di Arpat che aveva fatto emergere una quantità di zinco superiore a quella consentita: un milligrammo per litro rispetto al limite autorizzato di 0,5. Il campionamento dei tecnici dell’Agenzia regionale per l’ambiente, compiuto a luglio 2021, è stato ritenuto dal giudice una mera anomalia dopo che i difensori di Daddi hanno dimostrato, dati e tabelle alla mano, che tutte le misurazioni fatte da Gida sulle acque reflue in uscita dall’impianto del Calice aveva dato esito negativo dove per negativo si intende, ovviamente, un’aderenza alle prescrizioni. Centinaia di misurazioni sono state sottoposte all’attenzione del pubblico ministero e del giudice: solo a gennaio 2019, per fare un esempio, 368 con una media di emissione pari a 0,06 milligrammi per litro, e un campionamento ogni 2-3 giorni da maggio 2020 con valori sempre sotto la soglia. Numeri che hanno convinto il giudice dello stringente sistema di controllo operato in proprio da Gida. “I limiti – la tesi degli avvocati – sono sempre stati rispettati e il superamento rilevato da Arpat è rimasto un caso eccezionale e sorprendente rispetto ai numerosissimi campionamenti”. La difesa ha anche fornito una spiegazione tecnica del processo di trattamento di depurazione con particolare riferimento allo zinco presente nei reflui di ingresso e sottoposto a due fasi di lavorazione: una all’inizio nella fase della cosiddetta ‘sedimentazione primaria’ e una successiva, a valle del trattamento biologico, detta di ‘sedimentazione terziaria’ che consente di inglobare il metallo nella parte solida che viene separata dal refluo in uscita. L’iter prevede la misurazione costante delle impurità e si tratta di un sistema applicato in modo rigoroso che il superamento certificato da Arpat è stato ritenuto niente più che una semplice anomalia che mai si era verificata prima e mai si è verificata dopo.
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