La ristorazione cinese obbligata alle ferie forzate. Tutta colpa del coronavirus o meglio, tutta colpa della psicosi da coronavirus. I cinesi, che rappresentano il grosso della clientela, preferiscono stare alla larga da quelli che considerano luoghi di aggregazione potenzialmente pericolosi per la loro salute. Insomma, meglio mangiare a casa che rischiare. Ed ecco che i fatturati, in pochissimi giorni, hanno registrato un crollo verticale che ha convinto molti ristoratori a prendersi un periodo di ferie. L''Internazionale' di via Roncioni, uno dei ristoranti cinesi storici, è chiuso dal 4 al 28 febbraio. “A causa dell'epidemia coronavirus – si legge sull'avviso attaccato alla porta d'ingresso – il ristorante è temporaneamente sospeso. La riapertura sarà comunicata prima della fine delle ferie. Ci scusiamo tanto per il disagio”.
Qui lo hanno scritto chiaramente lasciando intendere che la chiusura potrebbe andare anche oltre la fine del mese, altrove i cartelli non ci sono o sono scritti solo in lingua cinese ma la motivazione di luci spente e serrande abbassate è la stessa: mancano i clienti, non vale la pena stare aperti e sostenere costi di gestione altissimi a fronte di entrare praticamente azzerate.
Qualcuno prova a resistere al deserto ma si tratta di una minoranza: mai visti così tanti locali chiusi nella Chinatown pratese che, si sa, per cultura non si ferma mai, neppure nei giorni di festa comandata. Evidentemente il coronavirus fa davvero tanta paura e la fobia di condividere spazi chiusi con persone che potrebbero essere rientrate dalla Cina e non aver rispettato l'isolamento sanitario, supera quella che per i cinesi è una tradizione molto radicata: il ristorante.
Il rischio per la ristorazione, che da sola è un segmento di primaria importanza nell'economia della comunità cinese, è anche un altro: che la psicosi da coronavirus duri il tempo sufficiente a decretare licenziamenti e chiusure definitive.
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