Un corto circuito nella procedura di valutazione, controllo, gestione e affidamento del lavoro che Eni commissionò a Sergen per convertire una dismessa linea di benzina senza piombo in linea di fornitura di olio vegetale idrotrattato. Un corto circuito che – sostiene la procura di Prato – ha determinato l’esplosione nel deposito di Calenzano che lo scorso 9 dicembre ha ucciso cinque persone, ferito altre 27 e provocato danni ad abitazioni, aziende e veicoli. Una catena di ‘mancanze’ per le quali sono stati indagati sette tra dirigenti e responsabili di area di Eni (indagata per illeciti amministrativi anche Eni Spa) e due referenti di Sergen, azienda con sede a Viggiano, in provincia di Potenza, specializzata in lavorazioni in impianti petroliferi (uno degli indagati è il tecnico che ha rischiato di morire per le ustioni gravissime riportate sul 50 per cento del corpo). Secondo il convincimento della procura un inferno “prevedibile e evitabile” se ogni anello della catena di responsabilità avesse ben funzionato.
La superperizia che il procuratore Luca Tescaroli ha affidato a otto consulenti con competenze specifiche, ha ricostruito quello che è successo. Una ricostruzione che, anche attraverso le risultanze del lavoro fatto da carabinieri, vigili del fuoco e tecnici del Dipartimento di prevenzione della Asl, scende nel dettaglio, che è necessariamente carica di tecnicismi e che, però, mette in fila anche carenze professionali, mancate segnalazioni, errate indicazioni, modifiche esecutive.
Tra le tante falle ne spiccano in particolare due che hanno rappresentato una combinazione devastante: da una parte la presenza, nella tubazione oggetto dell’intervento sulla linea dismessa, di benzina che è fuoriuscita dalla fessura creata dallo svitamento di una valvola, e dall’altra la presenza del carrello elevatore, e dunque di un motore che produce calore, utilizzato dagli operai di Sergen. Per spiegare meglio: gli operai di Sergen non sapevano della presenza di benzina, e nel Duvri – il documento obbligatorio da redigere in caso di diverse attività condotte da soggetti diversi nello stesso luogo di lavoro – non si faceva riferimento alla presenza di un carrello elevatore a motore.
Il motore, secondo i “termini di maggiore probabilità”, è stato la fonte dell’innesco dell’incendio che ha provocato quattro esplosioni in sei minuti (distruttive, in particolare, le prime due). E perché, a un certo punto, le due lavorazioni interferiscono? Perché – stando alla ricostruzione – viene attivata da un’autobotte una linea di rifornimento di carburante che sarebbe stata collegata a quella a cui Sergen stava lavorando.
Il rifornimento delle autobotti, quel giorno, avrebbe dovuto essere bloccato ma così non fu. Se le pensiline di carico fossero state chiuse per consentire i lavori affidati a Sergen, “il mancato introito economico per Eni sarebbe stato di circa 255mila euro”.
L’inchiesta della procura contesta a vario titolo i reati di omicidio colposo plurimo, disastro colposo e lesioni personali colpose. C’è anche un profilo relativo ad un tentativo di intralcio delle indagini attraverso l’inserimento post disastro di documenti inerenti le indicazioni fornite da Eni a Sergen; un’azione finalizzata – dice la procura di Prato – a “sviare le responsabilità nell’interesse di Eni”. (nadia tarantino)
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