Da nove mesi è in carcere con l'accusa di aver ucciso l'amico Said 'Samuel' Jaador, marocchino di 38 anni con precedenti il cui cadavere semicarbonizzato fu trovato lo scorso 9 maggio in un edificio abbandonato tra via Galcianese e via San Paolo. Abdelhadi Hajjaj, 50 anni, anche lui marocchino e con precedenti, è rinchiuso in una cella di Sollicciano in attesa che le carte bollate facciano chiarezza sul suo destino, decidano, cioè, se debba continuare la custodia cautelare in carcere come vuole la procura di Prato o possa essere accolta la richiesta di scarcerazione avanzata dal difensore, Enrico Martini.
Sulle spalle del 50enne pende un intreccio complicato, un tortuoso iter giudiziario che ha a che fare anche con il comportamento tenuto durante la prima fase delle indagini, quando per tutti Samuel era un uomo sparito nel nulla, come denunciato dalla moglie il 21 aprile, e lui – Abdelhadi – rispondeva senza problemi alle convocazioni della questura e della procura e si presentava per rilasciare dichiarazioni in qualità di persona informata sui fatti, mostrando un atteggiamento collaborativo e non reticente. Poi però la sparizione diventa un omicidio perché Samuel viene ritrovato cadavere in un luogo che dista un centinaio di metri da un fabbricato dove era andato a vivere e dove abitava anche il suo connazionale con il quale, stando a diversi testimoni, aveva avuto liti e discussioni.
Il 50enne viene fermato perché ritenuto l'autore dell'omicidio. In sede di convalida dell'arresto, la procura, richiamando il pericolo di fuga, chiede e ottiene dal giudice delle indagini preliminari la custodia cautelare in carcere: “E' irregolare sul territorio, non ha fissa dimora, non ha lavoro, non ha radici sul territorio: potrebbe scappare, far perdere le proprie tracce”, il ragionamento. Ragionamento a cui si contrappone la considerazione della difesa: “Poteva fuggire, poteva andarsene ma non lo ha fatto, ogni volta che è stato convocato si è sempre presentato al punto che è stato valorizzato il suo spirito di collaborazione. Il pericolo di fuga non c'è”. Di nuovo la procura: “Se se ne fosse andato o non avesse parlato, avrebbe attirato i sospetti sulla sua persona”. Fatto è che la Cassazione dà ragione all'avvocato.L'indagato è ancora in carcere: anche se i giudici hanno escluso il pericolo di fuga, c'è in sospeso un'altra decisione, quella del tribunale della Libertà a cui la Cassazione, chiamata ad esprimersi sulla conferma della custodia cautelare pronunciata dal Riesame, ha ordinato di riprendere in mano il caso e procedere ad una nuova valutazione.
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