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Titolo di guardia zoofila revocato dopo l’apertura dell’inchiesta, ma viene assolta e il Tar impone l’annullamento della decisione


La battaglia di una donna dopo l'assoluzione dal reato di concussione per un fatto finito nell'indagine che nel 2023 si trasformò in un terremoto giudiziario per i gestori del canile municipale 'Il rifugio'. Tar duro contro la prefettura che revocò il titolo anziché fermarsi alla sospensione


Nadia Tarantino


Le furono revocate la nomina di guardia zoofila e l’autorizzazione di pubblica sicurezza dopo che il suo nome finì nell’inchiesta del 2023 della procura di Prato sulla gestione del canile municipale ‘Il rifugio’, inchiesta che portò all’arresto della presidente dell’associazione che all’epoca gestiva la struttura (sentenza di patteggiamento a 3 anni di reclusione), un medico veterinario e altre due guardie. Una decisione presa dalla prefettura senza passare dalla casella della ‘sospensione’. Subito il provvedimento estremo a fronte di una imputazione – concorso in concussione –  giudicata sufficiente a ritenere che non ci fosse più il requisito della buona condotta. In particolare alla guardia zoofila la procura contestava un solo fatto: presunte pressioni sul proprietario cinese di un Labrador fino al punto che l’animale fu ceduto e portato al canile, oltre a una multa di 100 euro fatta, ma in realtà non dovuta (e mai pagata ndr), in seguito a continui accessi presso il luogo in cui il cane veniva tenuto.
La guardia zoofila, una pratese in servizio presso l’associazione Enpa di Firenze e volontaria al canile, è stata però assolta dal tribunale di Prato “perché il fatto non sussiste” e così, assistita dall’avvocato Alessandro Pace, ha chiesto al Tar la revoca del provvedimento prefettizio e, dunque, la riabilitazione. Richiesta accolta dai giudici. Non soltanto accolta ma anche valorizzata nella sua legittimità.
Non ci fu una cessione indebita del cane da parte del cinese che lo deteneva, non ci furono utilità di nessun tipo per la donna e per i suoi colleghi: semplicemente l’animale era tenuto male. Fu semmai la procedura seguita irrituale ma nulla di penalmente rilevante.  “Il cane era a catena corta, senza adeguata scorta di acqua e senza cuccia: fatti veri e non un mero pretesto per esercitare un’indebita pressione sul proprietario e costringerlo alla cessione del cane per evitare contestazioni infondate”,  un passaggio delle motivazioni dell’assoluzione. Nessun abuso, dunque. Solo il dovere richiesto ad una guardia zoofila.
Il Tar ha esaminato il fascicolo di indagine della procura e la successiva assoluzione del tribunale, riscontrando elementi di incertezza che avrebbero dovuto – dicono i giudici – incontrare una lettura critica da parte della prefettura: “La disamina della ricostruzione della vicenda contenuta nell’imputazione – si legge nella sentenza del tribunale amministrativo – avrebbe dovuto indurre la pubblica amministrazione, pur in presenza di un dubbio circa la sopravvenuta carenza del requisito della buona condotta, ad astenersi dall’adottare, in via automatica ed acritica, un provvedimento definitivo ed esiziale per la destinataria”. Sottolineando che la prefettura avrebbe potuto fermarsi a sospendere dall’attività la guardia zoofila per evitare di “compromettere definitivamente l’autorizzazione di pubblica sicurezza sulla base di una mera ipotesi di reato”, il Tar si è spinto oltre: “Se è vero che la rilevanza penale di un comportamento non è un elemento necessario per escludere la sussistenza della buona condotta, che può venir meno anche per azioni non contemplate da norme incriminatrice, è altrettanto vero che la semplice apertura di un’indagine a carico di un cittadino non può automaticamente e sempre comportare l’accertamento della sopravvenuta mancanza di tale requisito e l’adozione di un provvedimento di revoca definitiva dell’autorizzazione dei pubblica sicurezza di cui lo stesso sia titolare”. (nt)

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(N° 4 del 14/02/2009)
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