“Ti sparo in testa”, la minaccia di morte rivolta al figlio al culmine di una lite familiare – non la prima – che si concluse prima con un doppio intervento dei carabinieri che trovarono armi cariche nella stanza da letto e sotto il materasso, poi con la sospensione del porto d’armi per tiro a volo da parte del questore e, infine, con il divieto, a firma del prefetto, di detenere qualsiasi tipo di armi e di munizioni. Una decisione contestata dal titolare del porto d’armi che, tramite il suo avvocato, ha portato la questione davanti ai giudici del Tar toscano. La sentenza è arrivata oggi, a tre anni dai fatti avvenuti in provincia di Prato: il ricorso è stato rigettato e dunque niente più armi e niente più munizioni, e anzi il pagamento delle spese di giudizio sostenute dalla prefettura, tremila euro.
La scelta della prefettura di ritirare l’autorizzazione fu valutata anche sulla base delle liti pregresse che avevano obbligato i carabinieri ad intervenire e poco è contato che, in seguito alla minaccia di morte pronunciata contro il figlio, ci sia stato “il tentativo di sminuire la rilevanza del fatto”. La sentenza spiega che “successivamente all’episodio, fu operato un tentativo per sminuire l’accaduto con il deposito di una dichiarazione della moglie e di una dichiarazione del figlio” che i giudici hanno ritenuto “irrituali e di dubbia attendibilità”. Insomma, la minaccia di morte, “la situazione di conflittualità familiare” e la presenza di armi regolarmente detenute, ha spinto il Tar a confermare il divieto varato dalla prefettura. “Al di là di ogni riferimento agli ulteriori episodi di conflitto in famiglia risalenti al 2021 – si legge nel dispositivo – l’emanazione del divieto di detenere armi appare pertanto ampiamente giustificato dall’episodio con minaccia di morte e non è riconducibile ad una generica contestazione”.
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