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Maxi truffa camici antiCovid, il processo dopo lo spostamento da Prato a Roma è ancora alle fasi iniziali


La Cassazione ha rigettato in questi giorni la richiesta dei difensori di trasferire il procedimento al tribunale di Civitavecchia. L'inchiesta della procura di Prato risale al 2022. Numerosi le persone, italiane e cinesi, che finirono agli arresti. In ballo un appalto da 43 milioni di euro gestito dal Commissario straordinario per l'emergenza sanitaria e dalla Regione Lazio per la fornitura di dispositivi di protezione a medici e infermieri


Nadia Tarantino


A tre anni tondi tondi dall’inchiesta della procura di Prato sulla presunta truffa milionaria ai danni dello Stato per la gigantesca fornitura di tute e camici anticovid nel periodo della pandemia, frutto di un appalto da 43 milioni di euro del Commissario straordinario per l’emergenza sanitaria e della Regione Lazio Asl 2, il processo è ancora ben lontano da arrivare a sentenza. Tutto si è arenato in attesa che la Cassazione si esprimesse sulla richiesta degli avvocati della difesa di trasferire il procedimento al tribunale di Civitavecchia, dopo aver già ottenuto lo spostamento da Prato a Roma. La Corte Suprema ha deciso in questi giorni: la pendenza resta a Roma. Partita chiusa: i tecnicismi sulla competenza territoriale rispetto a dove sono stati commessi i reati, al luogo in cui sono stati accertati, alla geografia originaria dei fatti contestati non è più argomento di discussione.
L’inchiesta (titolari i sostituti Lorenzo Gestri e Lorenzo Boscagli, entrambi, ora, alla procura antimafia a Firenze), portò alla ribalta il consorzio Gap, che oggi ha cambiato nome, e mise nei guai diverse persone: quattro persone in carcere (due italiani e due cinesi), 6 ai domiciliari, 4 all’obbligo di firma e di dimora e due sottoposte al divieto di esercitare funzioni direttive, mentre altre 11 persone vennero indagate a piede libero.
Furono la Squadra mobile di Prato e il Gruppo specializzato per la prevenzione e il contrasto ai fenomeni di sfruttamento del lavoro della Asl Toscana centro, a scoperchiare la presunta frode di imprenditori e affaristi italiani e cinesi stretti – è convinta l’accusa – in un intreccio economico finalizzato a fare soldi in un periodo difficilissimo come quello dell’emergenza Covid. In ballo il maxiappalto per produrre dispositivi di protezione contro il contagio, contro la temutissima trasmissione del virus: tute e camici da distribuire al personale sanitario.  
Dispositivi, stando alle indagini, cuciti tramite affidamenti in subappalto alle confezioni cinesi del distretto parallelo pratese nonostante il contratto con il Commissario straordinario per l’emergenza sanitaria lo vietasse, e cuciti anche in Albania nonostante fosse tassativo il made in Italy.
Fu la denuncia di un operaio senegalese, stanco dei turni di lavoro massacranti nell’impresa cinese per la quale lavorava e tra quelle impegnate a sfornare camici e tute, a mettere in moto le indagini.     

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è una testata registrata presso il Tribunale di Prato
(N° 4 del 14/02/2009)
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Redazione: Via del Biancospino, 29/b, 50010
Capalle/Campi Bisenzio (FI)

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