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L’ombra della camorra nel distretto illegale, l’allarme di Spiezia: “E’ terreno fertile per il contatto tra le diverse criminalità organizzate”


Domani in programma gli interrogatori dei dieci arrestati nell'ambito dell'inchiesta della Direzione distrettuale antimafia. Intanto emergono i punti di contatto e di interesse della camorra a Prato. Gli investigatori hanno ricostruito alleanze e collaborazioni del clan camorristico: lunga sfilza di indagati


Nadia Tarantino


Cinquanta pakistani reclutati per lavorare a basso costo nelle aziende cinesi del distretto pratese. Se non fosse stato per i controlli della polizia croata, gli operai sarebbero arrivati a bordo di un furgone proveniente dalla Slovenia. Un’operazione giudicata troppo rischiosa e per questo motivo saltata. Era l’estate del 2022. E’ uno dei punti di contatto tra la camorra e alcuni imprenditori cinesi, emerso dall’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Firenze che si è tradotta in cinque arresti in carcere, cinque domiciliari e due interdizioni a ricoprire incarichi societari e direttivi per un anno (sul registro delle notizie di reato un’altra dozzina di nomi). Altri punti potenziali di contatto: la ‘pulizia’ delle ingenti somme di denaro, principalmente frutto di lavoro nero e evasione fiscale, e lo smaltimento degli scarti tessili. “Criminalità autoctona e cinese, lo abbiamo già visto in passato, possono interagire se il campo di azione interessa entrambe le parti”, il riassunto del generale Bruno Salsano, comandate provinciale della guardia di finanza di Firenze che ha guidato le indagini sul clan camorristico che stava rialzando la testa puntando proprio sul capoluogo toscano e su Prato.

Un’inchiesta complessa, partita nel 2022 e durata due anni, che ha consentito di mandare all’aria il progetto di importare e impiantare nell’area Prato-Firenze il modello camorristico già collaudato nel napoletano e in particolare nel “sanguinario quartiere di Ponticelli”, pensato e pianificato dai collaboratori di giustizia del clan Sarno in vista della scadenza del programma di protezione. Il clan non si è estinto ma si è riorganizzato adeguandos alla latitudine e, perciò, tentando di penetrare nell’economia locale attraverso l’offerta di servizi specifici: smaltimento dei rifiuti, riciclaggio di denaro, reclutamento di manodopera clandestina, produzione massiva di fatture false per operazioni inesistenti, estorsioni. Qualcosa è decollato, qualcosa è rimasto più o meno solo sulla carta ma i Sarno (tre fratelli, il figlio di uno di loro ed un cugino) e i sodali hanno fatto in tempo a concretizzare un sostanzioso patrimonio che è stato intercettato dagli inquirenti e sottoposto a sequestro preventivo: soldi, auto, case a Prato per un valore che sfiora il milione di euro.

Domani, giovedì 22 maggio, gli arrestati compariranno davanti al giudice per gli interrogatori (tra gli avvocati pratesi figurano Melissa Stefanacci e Olivia Nati).

L’indagine ha messo nero su bianco due elementi. Il primo: la capacità di riorganizzare un modello camorristico sul territorio del programma di protezione tramite la costruzione di alleanze, collaborazioni, relazioni e conoscenze con imprenditori, prestanomi e faccendieri. Il secondo e forse più importante: l’incrocio perfetto tra interessi diversi che trova a Prato, o meglio dire che trova in particolare a Prato una collocazione naturale e che eleva il tentativo del clan Sarno da infiltrazione a integrazione. Due le ‘golosità’: la fetta di imprenditoria sana e la massiccia presenza di aziende e società cinesi.

“L’imprenditoria cinese ha favorito il progetto di riorganizzazione del clan Sarno in questa zona di Toscana – le parole del generale Bruno Salsano, comandante provinciale della guardia di finanza di Firenze – stiamo parlando di una imprenditoria molto effervescente con tutto ciò che questo vuol dire, compresa l’interazione con la criminalità italiana”.

Il procuratore di Firenze e capo della Dda, Filippo Spiezia, dice di più parlando dell’appetibilità esercitata dal territorio Prato-Firenze: “Le analisi condotte dalla Dia e dalla procura nazionale antimafia richiamano l’attenzione sull’evoluzione del modello di business delle associazioni criminali. Quelle che hanno raggiunto una disponibilità immensa di somme di denaro grazie ai traffici internazionali di stupefacenti, hanno un’esigenza molto grande di riciclaggio e reinvestimento che fa sì che i rapporti, la contaminazione con l’imprenditoria diventa bisogno quotidiano. Ecco che la prospettiva corretta sul piano investigativo e ricostruttivo è quella dell’integrazione piuttosto che dell’infiltrazione. L’infiltrazione riguarda fasi precedenti del processo criminale, noi invece oggi assistiamo a una compenetrazione importante e significativa, quindi – ancora il procuratore Spiezia – è corretto parlare di sistemi criminali che si integrano e nei quali le diverse esigenze si incontrano: da una parte, per fare un esempio calzante connesso a questa inchiesta,  l’imprenditore che ha bisogno delle false fatture per abbassare la massa dell’imponibile, dall’altra il clan che si offre con la mediazione. Due parti che si integrano perfettamente e l’inchiesta che ha interessato Prato e Firenze ne è un esempio significativo”.
Nulla di nuovo per la verità, solo una autorevole conferma agli allarmi già lanciati dal procuratore di Prato, Luca Tescaroli, e dal prefetto, Michela La Iacona.

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