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La mafia cinese a Prato c’è e non da ora, dopo Tescaroli lo conferma anche il procuratore distrettuale antimafia Spiezia. Non è più possibile fare finta di niente


Il magistrato fiorentino ha parlato di inchieste in corso su profili internazionali. La cronaca degli ultimi anni, anche prima della "guerre delle grucce" ha offerto tante conferme della presenza di organizzazioni malavitose


Claudio Vannacci


Non è più, quello pratese, solo il distretto in cui aprire-chiudere-riaprire-richiudere aziende in una scia infinita e senza rispettare neppure la più banale delle regole. Non è più, quello pratese, solo il distretto da succhiare fino all’osso per accumulare ricchezza. E’ molto di più: è – e a dirlo sono gli attentati, i regolamenti di conti sempre più feroci, il giro sempre più vorticoso di denaro, i sequestri sempre più ingenti di disponibilità economiche, mobiliari e immobiliari – il centro di potere di quella criminalità cinese che, pochi giorni fa, la Commissione parlamentare antimafia ci ha detto di poter chiamare, senza timore di smentita, ‘mafia cinese’.
Non c’è cronaca cinese che non passi da Prato: le grandi inchieste, anche le più datate, hanno sempre raccontato l’altissimo livello di illegalità coltivata in ogni ambito e agevolata dal fiume di quattrini elargito a destra e a manca.
Nel 2018 a Prato fu arrestato Zhang Naizhong, nome di spicco della comunità cinese in Italia; tanto di spicco che un investigatore rivelò di connazionali diligentemente in coda, all’ingresso di un ristorante, per salutarlo con il baciamano. Erano i tempi dell’inchiesta Chinatruck, la guerra violentissima per il controllo dello spostamento delle merci in mezza Europa. La logistica intesa come fulcro del potere e della ricchezza. Esattamente come oggi per le grucce che da più di un anno sono il motivo di una faida senza esclusione di colpi in una escalation che pare ormai fuori controllo. Una guerra che si combatte a Prato come in Francia e come in Spagna dove si sono verificati attentati incendiari identici ai tre dello scorso 16 febbraio in aziende del Macrolotto 2, di Seano e di Campi Bisenzio. Tra i titolari delle società colpite figurerebbe il figlio di Naizhong.
Una guerra, si è detto, violenta e inarrestabile con incendi, aggressioni e tentati omicidi.
Una guerra che mette in campo pedine grosse, importanti. E che conferma la spregiudicatezza di una comunità che non ha paura e che non si ferma. Una comunità abituata a condotte senza freni.
Non è un caso che a Prato, la scorsa estate, arrivi direttamente dalla Cina un ex militare dell’esercito cinese per massacrare di botte e ridurre in fin di vita un connazionale, già lui stesso personaggio di alta levatura, condannato in via definitiva per un omicidio volontario commesso nel 2006 in Campania; non è un caso che – notizia fresca di ieri – in un circolo in via Filzi, un gruppo di cinesi aggredisca con inaudita violenza tre connazionali appena arrivati da Francoforte, condannando uno di loro – sempre che ce la faccia a sopravvivere – all’abisso dell’infermità.
Non è un caso che un cinese appena arrivato in Italia e cliente di un hotel in viale della Repubblica, trovi, accanto alla macchina incendiata nel parcheggio, una bara con tanto di foto del suo volto.
Non basta ancora? Ad anticipare l’allarme suonato dalla Commissione parlamentare antimafia era stato, nei mesi scorsi, il procuratore di Prato, Luca Tescaroli, rimproverando che nessuno ha mai compreso davvero e fino in fondo il fenomeno cinese in questa città e addirittura sostenendo la necessità di aprire in città una sezione della Dda per irrobustire la capacità e celerità di indagine. Giovedì, invece, è stato il procuratore distrettuale antimafia, Filippo Spiezia, a dire che i suoi uffici sono impegnati in indagini e che “tali attività riguardano anche alcuni profili internazionali connesse alla vicende indagate”. Insomma, non inchieste che da Firenze arrivano e si fermano a Prato, ma inchieste che sconfinano e approdano, evidentemente, all’estero.
Certo non la prima inchiesta di peso: precedentemente a Chinatruck, la cui catena di arresti si è sì tradotta in lunghi elenchi di imputati ma il processo ad oggi è ancora in corso e in parte prescritto, c’era stata quella denominata ‘money transfer‘ che aveva acceso i fari sulla bellezza di 5 miliardi di euro spediti in Cina, e per ben oltre la metà raccolti a Prato, in un arco di tempo di appena tre anni, fino al 2010.
Senza parlare delle inchieste su faide, prostituzione, sfruttamento, droga, gioco d’azzardo, evasione fiscale, estorsioni, riciclaggio, traffico di clandestini. Inchieste con tanti indagati poi divenuti imputati: elenchi infiniti di nomi e non sempre solo cinesi. Tanti gli italiani affondati nella palude delle illegalità: forze dell’ordine, professionisti, imprenditori, notabili, immobiliaristi e anche insospettabili o anonimi cittadini. Tutti mossi dal denaro.
Altre inchieste sono in corso. La palude – lo insegna la storia giudiziaria – potrebbe inghiottire qualcun altro. (nadia tarantino)

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Capalle/Campi Bisenzio (FI)

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