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Impianto inerti in via Pantanelle: condannati i titolari delle ditte che facevano parte del Consorzio Calice


Doveva essere utilizzato solo per la realizzazione della seconda tangenziale ma, secondo le accuse della Dda accolte dal giudice, era invece usato anche per altre attività


Nadia Tarantino


Fecero dell’impianto per la lavorazione di inerti destinati alla realizzazione della seconda tangenziale la loro base operativa nonostante le stringenti prescrizioni sulla finalità e sulla temporalità dell’autorizzazione rilasciata dal Comune di Prato in deroga alla normativa nazionale. E’ la conclusione a cui nella serata di ieri, giovedì 30 gennaio, è arrivato il giudice Francesco Santarelli al termine di una lunga camera di consiglio che ha portato alla condanna di imprenditori e ditte edili. Il tribunale, recependo integralmente le richieste del pubblico ministero Lorenzo Gestri della Direzione distrettuale antimafia di Firenze (competente anche per i reati riconducibili alla gestione dei rifiuti), ha pronunciato un’articolata sentenza che mette un primo punto fermo all’attività del Consorzio Calice sul terreno di via Pantanelle, alla periferia ovest di Prato. Un’attività, ha dimostrato l’accusa, che è andata oltre ciò che si poteva e si doveva fare generando, in questo modo, profitti per il consorzio stesso e per le consorziate Endiasfalti spa, Co.Edil srl e Cafissi Alvaro srl i cui rappresentanti legali sono stati chiamati a rispondere di gestione abusiva di rifiuti.
Condannati a tre anni di reclusione Franco Sgrilli (presidente del Consorzio Calice) e Alessandro Cafissi (legale rappresentante della Alvaro Cafissi), e a due anni (pena sospesa) Daria Orlandi (Co.Edil) e Vincenzo Guarino (Endiasfalti). In più: tutti e quattro gli imputati sono stati interdetti dai pubblici uffici per cinque anni, dalla direzione di imprese per la durata della pena e dall’esercizio di qualsiasi ruolo per il quale è necessaria l’iscrizione all’albo dei gestori ambientali per due anni; inoltre, è stata dichiarata “l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione” per due anni. E ancora: il giudice ha anche ordinato ai quattro imputati il ripristino ambientale dell’area di via Pantanelle.
Oltre alle condanne personali, è stata disposta la confisca, a carico del consorzio, di 231mila euro, somma ritenuta l’ingiusto profitto dell’attività abusiva e per il consorzio e le consorziate la sanzione pecuniaria di 300 quote ciascuno (500 euro il valore di ognuna) e l’interdizione per due mesi dell’esercizio di ogni attività attualmente in corso. Gli avvocati della difesa – tra gli altri Gilberto Giusti, Cristina Meoni, Ugo Fanti, Giovanni Renna – stanno già pensando al ricorso in Appello: “Attendiamo il deposito delle motivazioni della sentenza che riteniamo ingiusta”, il commento collettivo.
I fatti che hanno portato alla condanna risalgono al 2016-2017 ma per comprendere le basi delle contestazioni occorre tornare indietro fino al 2008 così come ha fatto il pubblico ministero in quasi un’ora e mezzo di requisitoria. E’ in quell’anno, il 18 giugno, che viene costituito il Consorzio Calice a cui il Comune di Prato, attraverso una convenzione datata 4 luglio 2018, affida la gestione dell’impianto di inerti allestito su un’area “non urbanisticamente idonea” ma in deroga per ragioni di “interesse pubblico” (la realizzazione della seconda tangenziale), della sua “struttura mobile” e della sua “funzione temporale”. La convenzione risponde ad un indirizzo contenuto in una delibera comunale del 2007 che chiede all’allora dirigente del settore ‘Mobilità ambiente e grandi infrastrutture’ Lorenzo Frasconi di “attivare procedure utili alla riduzione dei costi per la seconda tangenziale”. Al Consorzio Calice viene chiesto di ricevere, trattare, vagliare e triturare gli scarti edili in ingresso (tecnicamente rifiuto) per consegnare al Comune 45mila metri cubi di materia prima seconda. Un’attività a scadenza: tre anni con possibile rinnovo in caso di necessità.  
Tutto bene fino al 2013 quando con una determina la Provincia dice che quell’impianto è ad esclusivo servizio della seconda tangenziale e che la materia prima seconda eccedente la quantità da fornire al Comune è rifiuto. Contro quella determina il Consorzio Calice ricorre e nel 2014 il Consiglio di Stato dà ragione alla Provincia: “L’area è a destinazione agricola e dunque incompatibile con l’impianto, vincolo superato da un interesse superiore che è quello pubblico”. In altre parole, i giudici amministrativi dicono che l’impianto per gli inerti c’è, esiste, funziona grazie ad un’autorizzazione in deroga solo perché destinato alla seconda tangenziale. Un impianto, insomma, seguendo il ragionamento del rigetto dell’impugnazione della delibera, altrimenti illegittimo.
Nello spazio di tempo che separa la determina della Provincia dal pronunciamento del Consiglio di Stato le parti raggiungono un accordo che consiste in una sorta di deroga alla deroga: le consorziate vengono autorizzate ad utilizzare l’impianto per i rispettivi appalti con i Comuni dell’area pratese a patto, però, che l’attività cessi definitivamente a gennaio 2015. Un accordo che risponde ad un problema storico e tutto pratese: l’assenza di un’area da adibire alle lavorazioni degli inerti. Un problema non da poco per il settore che garantisce centinaia di posti di lavoro tra diretti e indotto. Un’alternativa non è urgente ma urgentissima. Però non c’è e quell’impianto rappresenta l’unico sfogo. Ad un certo punto, si fa strada la possibilità (non scritta) di commercializzare gli inerti e ciò avviene nelle pieghe della burocrazia, dei carteggi che si prestano alle interpretazioni. Il dirigente del Comune, chiamato sul banco dei testimoni, restituisce un quadro che ingloba anche una responsabilità verso i posti di lavoro di un comparto alle prese con l’assenza di disponibilità di un’area dedicata.
Il Consorzio Calice, continua l’accusa, tra il 2016 e il 2017 riceve gli scarti delle demolizioni, li lavora e li cede in parte alle consorziate, in parte al Comune e in parte a terzi generando ricavi e “ingiusti profitti” in un cerchio che comprende le “entrate derivate dal conferimento dei rifiuti all’impianto” (circa 500mila euro nei due anni), “la vendita della materia prima seconda rifiuto riciclato” (circa 230mila euro), “il risparmio per la mancata gestione e smaltimento del rifiuto” (circa 3 milioni). E la domanda: “Perché quell’impianto, stando così le cose, non è stato messo a bando? Potevano forse esserci anche altre imprese interessate in un territorio che soffre la mancanza di aree utili allo scopo”.  
Per l’accusa “una scelta imprenditoriale legittima se non fosse stato per il fatto che lì, su quell’area e con quella autorizzazione, non si poteva fare perché fuori dalle finalità previste inizialmente”.
Di altro avviso i difensori. “Sentenza fortemente ingiusta – dice l’avvocato Ugo Fanti – sicuramente ci sarà l’Appello e lì la decisione del tribunale di Prato sarà riformata”. Fanti parla dell’ingiusto profitto che è uno degli elementi fondanti del processo: “Il Consorzio Calice non ha lucrato, il Consorzio Calice non ha guadagnato, il Consorzio Calice con questa operazione ci ha solo perso”. Respinge la tesi del traffico di rifiuti l’avvocato Cristina Meoni: “Non c’è stato quel reato, faremo ricorso”. (nadia tarantino)  

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