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I mali del Palazzo di giustizia, Tescaroli: “Allarme amianto, lavoriamo per trovare una nuova sede”


Assemblea pubblica indetta dalla sezione pratese dell'Anm. Tanti gli interventi di denuncia per i decennali problemi dell'immobile. Attesa per i campionamenti sulle parti di amianto all'interno dell'impianto di riscaldamento


Nadia Tarantino


Il Palazzo di giustizia di Prato potrebbe cambiare indirizzo. “Relazioni istituzionali” e interlocuzioni sono state già avviate allo scopo di individuare un immobile da destinare agli uffici giudiziari. E’ la novità più importante emersa oggi, giovedì 28 novembre, nel corso dell’assemblea pubblica convocata dalla sezione pratese dell’Anm per parlare dei problemi della sede del tribunale e della procura. “In sede di conferenza permanente, stiamo verificando strutture alternative”: queste le parole del procuratore, Luca Tescaroli, a colleghi non solo di Prato ma anche di Firenze e di Pistoia, ad amministrativi e avvocati che hanno aderito all’invito a partecipare all’assemblea. Un’assemblea fotocopia di quella che il 22 giugno 2015 si tenne per iniziativa dell’Ordine degli avvocati. Da allora la situazione è cambiata. In peggio. Così tanto in peggio che nei giorni scorsi il procuratore ha aperto un’inchiesta sul degrado del Palazzo di giustizia: “Ho individuato fatti penalmente rilevanti – ha detto – e dal momento che la legge è uguale per tutti, ecco che c’è un fascicolo”.
Due le circostanze che hanno nuovamente acceso i riflettori sul palazzo: il topo che ha rosicchiato i fili della centralina elettrica lasciando tutto l’edificio al buio per una giornata, e la presenza di amianto nelle giunture dell’impianto di riscaldamento che, infatti, non è stato ancora acceso. “La preoccupazione più grande è l’amianto – ha detto il presidente della sottosezione dell’Anm, Francesco Santarelli – ma è solo uno dei problemi di questo palazzo”. Un problema che entro pochi giorni sarà chiarito: stasera saranno prelevati campioni di fibre di amianto da sottoporre ad analisi. Un lavoro da fare a palazzo chiuso, quindi di notte. “Entro tre-quattro giorni – ha detto il procuratore – sapremo se queste fibre presentano particelle che si liberano nell’aria che respiriamo”. Se la risposta sarà positiva, è più che concreta la chiusura pressoché immediata dell’edificio; se invece l’esito sarà negativo, si dovrà pensare alla messa in sicurezza dell’impianto perché “le fibre non sono statiche e il rischio resta”.
Tutti, ad eccezione della proprietà dell’immobile (per il Comune presente l’assessore ai Lavori pubblici e al Patrimonio, Marco Sapia), hanno preso la parola. Unanime la denuncia per una sede che ormai è ad un passo dalla “inagibilità tecnica”: tutti hanno fatto a gara per trovare gli aggettivi più calzanti ad un palazzo che cade a pezzi, “sfasciato”, “indecoroso”, “vergognoso”, “carente”, “insalubre”, “inefficiente”, “indegno”. E privo – incredibile ma vero – del certificato antincendio: non c’è, non c’è mai stato.  
Sul banco degli imputati, è il caso di dire proprio così, è finito il Provveditorato delle opere pubbliche del ministero della Giustizia: l’assenza di rappresentanti non è passata inosservata, anzi. “Si sa tutto – ancora Santarelli – si conoscono gli interventi da fare e quanti soldi servono ma fino ad oggi, chi poteva risolvere i problemi ha preferito mettere toppe, spendendo più denaro di quanto ne occorra per un intervento strutturale. Il mio appello è ad unire le forze per risolvere i problemi”. Appello raccolto da tutti. Il procuratore, Tescaroli, e l’ex presidente del tribunale, Francesco Gratteri, hanno tirato in ballo un dato che la dice lunga sugli anni che passano aspettando una soluzione: “Nel 2015 la competenza della manutenzione è passata dal Comune al ministero, ma in questi nove anni il Provveditorato è stato impegnato, ed è ancora impegnato, a dare l’incarico per la progettazione degli interventi. Inaccettabile”.  Gratteri ha chiesto che l’assemblea fosse qualcosa di più dell’ennesima denuncia pubblica: “Sia anche una iniziativa di proposta – le sue parole – è necessario formare, con tutte le parti in causa, dagli avvocati al Comune agli ordini professionali, un gruppo di lavoro di esperti che si occupi prevalentemente, se non esclusivamente, di seguire i lavori che servono e di dettare rapidità”. Di più: “Occorre anche un provvedimento mirato, fatto su misura per Prato, per risolvere progressivamente e con realismo i problemi che abbiamo. Lo considero un obiettivo minimo”.
A turno sono intervenuti anche i presidenti dell’Ordine degli avvocati, della Camera penale e della Camera civile: “Non è questa una sede degna della giustizia, non si può lavorare ancora in queste condizioni. Fare fronte comune anche per responsabilizzare chi può prendere decisioni e non lo fa, chi può risolvere i problemi e indugia”.
Massimo Petrocchi, sostituto procuratore e membro della Giunta esecutiva sezione Toscana, si è soffermato sull’immagine di giustizia che il palazzo restituisce: “Come si può avere fiducia nella giustizia che si ferma perché un topo rosicchia i fili e non c’è uno strumento che possa compensare una centralina fuori uso? Come si può avere fiducia nella giustizia se si entra in un palazzo che non riesce neppure a riscaldare le stanze? E vogliamo parlare del cantiere infinito per costruire un gabbiotto? Come si fa, qui, a percepire il senso di giustizia? Viviamo in un allarme totale, nella paura che questa situazione possa arrivare ad un punto irreversibile”. Anche il presidente del tribunale facente funzione, Lucia Schiaretti, ha parlato: “Impersonando il ministero, io e il procuratore siamo datori di lavoro e abbiamo precise responsabilità nei confronti dei dipendenti. Siamo impegnati in tutte le azioni di tutela necessarie”.    
Grande assente anche la politica, a tutti i livelli: tolta l’assessore del Comune di Prato, nessun sindaco, nessun altro assessore, nessun consigliere presente. Nessuno a spiegare perché le mille dichiarazioni di intenti, i mille impegni pronunciati puntualmente da ogni rappresentante del Governo che si è affacciato negli ultimi 20 anni, per non dire 30, in piazzale Falcone e Borsellino, tali sono rimasti qualunque sia stato il colore politico. Nessuno a scusarsi per aver promesso e non mantenuto. Solo addetti ai lavori preoccupati per la loro condizione ma anche per quella dei cittadini: “Rappresentiamo e svolgiamo un servizio pubblico che richiede dignità, presentabilità, credibilità. Cose che un palazzo in questa situazione non garantisce”. (nt)

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(N° 4 del 14/02/2009)
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