Si è svolta in modo ordinato e pacifico la festa del sacrificio celebrata questa mattina 6 giugno nel piazzale interno del complesso di San Domenico a Prato. Sono stati circa ottocento i musulmani che hanno partecipato alla preghiera comunitaria, organizzata dal Centro islamico bengalese. Oltre ai membri dell’associazione promotrice, erano presenti fedeli di varia nazionalità, in particolare pakistani e marocchini. Arrivati di buon mattino in San Domenico, ex convento del centro storico, dotato di ampi spazi utilizzati per ospitare eventi culturali e sociali, i fedeli musulmani hanno preparato il piazzale, solitamente usato come parcheggio, dispiegando tappeti e stuoie per far inginocchiare i partecipanti alla preghiera. È la seconda volta che la Diocesi di Prato concede questo ambiente al Centro islamico bengalese, una analoga iniziativa si era tenuta il 30 marzo scorso, per la fine del Ramadan, e anche in quella occasione tutto si era svolto in maniera ordinata e rispettosa dei luoghi.
«Siamo venuti a Prato per lavorare, viviamo in questa città da tempo e abbiamo chiesto uno spazio per poterci riunire in preghiera – dice Omar Faruk a nome del Centro islamico bengalese – ringraziamo la Chiesa pratese, il Comune e la Questura per averci dato questa possibilità».
«La scelta della Diocesi di Prato si pone in piena e perfetta continuità con il magistero della Chiesa Cattolica», spiega il vescovo Giovanni Nerbini. «San Giovanni Paolo II – prosegue monsignor Nerbini –sulla scia del Concilio Vaticano II, ha indicato tre esigenze fondamentali del dialogo interreligioso: la reciproca conoscenza, la scoperta e valorizzazione di ciò che è buono e vero fuori della Chiesa, la collaborazione. La scoperta e valorizzazione riguarda non soltanto i singoli non cristiani, ma anche gli aspetti delle stesse religioni. Nella Redemptor Hominis si parla dei “tesori della religiosità umana” e del “magnifico patrimonio dello spirito umano, che si è manifestato in tutte le religioni”. Nella Ecclesia in Asia San Giovanni Paolo II affronta il tema del pluralismo religioso: “L’Asia è anche la culla delle maggiori religioni del mondo, quali il giudaismo, il cristianesimo, l’islamismo, l’induismo. È luogo di nascita di molte altre tradizioni spirituali, quali il buddismo, il taoismo, il confucianesimo, lo zoroastrismo, il giainismo, il sikhismo e lo shintoismo… La Chiesa ha il rispetto più profondo per queste tradizioni e cerca di intrecciare un dialogo sincero con i loro seguaci. I valori religiosi che esse insegnano attendono il loro adempimento in Gesù Cristo”. Nell’enciclica Fides et Ratio (1998), al numero 2.2, vengono anche per la prima volta nel magistero, approfonditi e definiti gli elementi positivi delle altre religioni: essi sono la preghiera, i testi religiosi e i precetti morali. Tutto questo non sminuisce né svilisce la convinzione profonda di ogni credente che, secondo la tradizione, il cristianesimo è la religione della vera comunione con Dio, e non è una religione che parla “in nome di Dio”, “su” Dio, o “in vece sua”. Il mistero dell’incarnazione indica il punto di distinzione fondamentale del cristianesimo dalle altre religioni, e chiarisce il tema della rivelazione. Circa la “collaborazione” è patrimonio comune di questi ultimi trenta anni la certezza che tutte le religioni sono chiamate a superare i fondamentalismi, ad emarginare ogni violenza ed offesa della persona e dei popoli ed a lavorare incessantemente per costruire rapporti di amicizia e di pace», conclude il vescovo Giovanni Nerbini.
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