Solo denunciata e mai condannata per aver percepito il ‘bonus bebè’ e aver fornito ad un pubblico ufficiale false dichiarazioni sulla propria identità, ma tanto basta a respingere “legittimamente” la domanda di cittadinanza italiana. E’ quanto ha stabilito il Tar del Lazio che ha bocciato il ricorso presentato da una donna straniera contro la decisione del ministero dell’Interno di non concedere il titolo di cittadina italiana. Alla base della decisione, la notizia di reato trasmessa all’autorità giudiziaria dalla guardia di finanza di Prato nel 2011 circa “l’indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato e falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità”. Un illecito che non è mai stato giudicato dal tribunale né tanto meno punito con una condanna nel momento in cui la richiesta di cittadinanza è stata avanzata, 2014, e rigettata, 2020. “I fatti addebitati – si legge nella sentenza dei giudici amministrativi – ricadono appieno nel periodo di osservazione rilevante, ovvero il decennio antecedente la domanda in cui devono essere maturati i requisiti per la concessione dello status, compreso quello dell’irreprensibilità della condotta”.
Gli avvocati della donna hanno proprio fatto leva sulla distanza temporale della notizia di reato rispetto alla richiesta di poter diventare a tutti gli effetti italiana, ma l’argomento non ha retto. Come non ha retto il fatto che non essendo la denuncia arrivata a sentenza, non può essere un ostacolo al desiderio di ottenere la cittadinanza. “Ai fini della concessione – dice la sentenza – non si deve tenere conto solamente dei fatti penalmente rilevanti, ma si deve valutare anche l’area della prevenzione dei reati e di qualsivoglia situazione di astratta pericolosità sociale, con accurati apprezzamenti sulla personalità e sulla condotta di vita del naturalizzando, al fine di valutare quale sia la probabilità che questi possa arrecare in futuro un pregiudizio alla sicurezza dello Stato. La notizia di reato rappresenta un chiaro indice sintomatico di inaffidabilità e di non compiuta integrazione nella comunità nazionale, desumibile in primis dal rispetto delle regole e dalla rigorosa e sicura osservanza delle leggi”.
Ribadito il fatto che chi chiede di essere riconosciuto cittadino italiano “deve essere in possesso delle qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprima integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile. La cittadinanza – si legge ancora nella sentenza – rappresenta infatti il suggello, sul piano giuridico, di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di cittadinanza sostanziale che giustifica l’attribuzione dello status giuridico”. (nt)
Denunciata per aver intascato il ‘bonus bebè’ senza averne diritto, negata la cittadinanza italiana
Il Tar ha dato ragione al ministero dell'Interno che aveva respinto la richiesta di una donna straniera di ottenere lo status perché denunciata dalla guardia di finanza per indebita percezione e per aver fornito false generalità. I giudici: "Illeciti che rappresentano un chiaro indice sintomatico di inaffidabilità e non compiuta integrazione"
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