La solita sceneggiatura: anche 14 ore di lavoro al giorno senza riposo settimanale, retribuzione a cottimo con una manciata di centesimi per ogni capo confezionato, in qualche caso paga forfettaria di 3 o al massimo 4 euro l’ora, condizioni igieniche precarie e di sicurezza inesistenti. Un sistema di sfruttamento spinto in nome del profitto. E’ l’ultima inchiesta della procura di Prato che ha affidato le indagini ai carabinieri e agli ispettori della Asl. Nei giorni scorsi il sostituto Vincenzo Nitti ha chiesto e ottenuto l’arresto di due imprenditori cinesi accusati di aver sfruttato una trentina di operai connazionali, accomunati da una condizione di fragilità sociale ed economica che il giudice delle indagini preliminari, Leonardo Chesi, ha definito “debolezza negoziale”. Respinta la richiesta di arresto per un’altra cinese, dipendente storica dei due arrestati e nel corso del tempo passata dal ruolo di sfruttata a quello di sfruttatrice: il gip ha disposto per lei l’obbligo di firma e di dimora. Il lavoro degli investigatori ha preso il via dopo la querela presentata da un’operaia cinese clandestina, vittima di un infortunio sul lavoro che il suo datore, al pronto soccorso, aveva fatto passare per un incidente domestico. La donna, rimasta senza una falange il primo giorno di lavoro, racconta che quasi alla fine del turno di 12 ore si fa male e che deve essere fatta chiarezza. La querela arriva a tre mesi di distanza dall’incidente e quando i carabinieri e la Asl si presentano nella ditta, una confezione in via Pistoiese, scoprono che nel frattempo c’è stato un cambio di gestione. Diversi gli accessi fatti in circa tre anni di indagine con gli inquirenti che hanno avuto a che fare con tre aziende che si sono succedute: il solito sistema per non pagare le tasse ma mantenere la forza lavoro, le attrezzature, il contratto di affitto. L’ultima gestione è della cinese promossa imprenditrice.
Lo sfruttamento emerge in tutta la sua potenza. Vengono sequestrati i quaderni dove è segnato il cottimo di ciascun lavoratore e qualcuno degli imprenditori che si sono avvicendati nel tempo non si fa problemi a presentarsi in procura per chiederne la restituzione: “C’è da pagare lo stipendio, servono quelle annotazioni”, il tenore dell’istanza. Stipendi anche di 5mila euro al mese per chi aveva scelto di lavorare a cottimo, consapevole della grande quantità di capi che poteva confezionare alla fine delle 14 ore di lavoro, 7 giorni su 7, settimana dopo settimana.
I carabinieri hanno accertato che il margine di profitto dei titolari della confezione corrispondeva esattamente a quanto pagato agli operai per ciascuno capo. Per meglio spiegare: 10 centestimi al pezzo al lavoratore, 20 centesimi al pezzo pretesi dal committente.
Il lavoro della procura non è ancora finito. Il sostituto Nitti, infatti, ha presentato ricorso contro il rigetto della custodia cautelare a carico dell’ultima titolare della confezione e anche il rigetto della richiesta di una misura per il responsabile del pronto moda che commissionava il lavoro alla ditta. Il ragionamento della procura, che non ha trovato accoglimento, è quello di un concorso nello sfruttamento: il pronto moda avrebbe in qualche modo obbligato la confezione a garantire una certa quantità di capi con la conseguenza di un impiego massivo degli operai.
Cercano di nascondere l’infortunio di una loro dipendente per coprire lo sfruttamento di 30 lavoratori
Arrestati due imprenditori. Inchiesta aperta dopo la denuncia dell'operaia: "Il mio non è stato un incidente domestico". Ricostruite le condizioni di lavoro: turni massacranti con pause brevissime, nessun giorno di riposo, igiene precaria e sicurezza inesistente
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