Processo per la morte di Giancarlo Ravidà, l'associazione Lorenzo Guarnieri: "Con omicidio stradale minimo 5 anni di carcere"
Domani udienza preliminare per l'uomo che travolse lo studente che attraversava a piedi via Valentini. Il giovane morì poche ore dopo all'ospedale. L'associazione che si è battuta per l'introduzione del reato di omicidio stradale esprime vicinanza alla mamma di Giancarlo: "Anche lei ha condiviso la nostra battaglia, speriamo in un po' di giustizia"
“Se fosse accaduto oggi, la pena per chi ha commesso il crimine sarebbe stata severa: minimo 5 anni di reclusione e revoca della patente di guida per 30 anni”. Così l'associazione Lorenzo Guarnieri alla vigilia del processo per la morte di Giancarlo Ravidà, lo studente di 19 anni ucciso da un'auto pirata il 4 gennaio dello scorso anno mentre attraversava a piedi via Valentini. Domani, mercoledì 18 maggio, è prevista l'udienza preliminare a carico del marocchino che guidava l'auto e che non si fermò; l'accusa è omicidio colposo e omissione di soccorso. La mamma di Giancarlo Ravidà, Carolina, si è impegnata nella battaglia per l'introduzione del reato di omicidio stradale. E' la stessa associazione a rivelarlo esprimendo vicinanza e auspicando giustizia. “Fu un omicidio che colpì molto l'opinione pubblica – scrive l'associazione dedicata ad un diciassettenne fiorentino morto in un incidente stradale nel 2010 – anche perché lo scontro fu ripreso dalle telecamere che hanno permesso di ricostruire chiaramente la dinamica dell'evento. Unica consolazione per la famiglia è che, in qualche modo, Giancarlo continuerà a vivere, lo farà attraverso i suoi organi che, per volontà della famiglia, sono stati donati e hanno dato una nuova possibilità di vita ad altre persone”. A ottobre i sostituti Gestri e Sangermano avevano chiesto il rinvio a giudizio per il giovane marocchino, difeso dall'avvocato Pugi. “Vedremo cosa deciderà il tribunale di Prato, sperando che non si arrivi ad un patteggiamento che negherebbe giustizia a Giancarlo e alla sua famiglia. Speriamo che il giudice tenga conto, nel rispetto della legge, della giustamente modificata percezione sociale e parlamentare della gravità del reato di omicidio stradale, aggravata in questo caso dalla fuga di chi commise il crimine”. Il difensore del marocchino, che si costituì in questura due giorni dopo l'incidente, ha sempre sostenuto che il suo assistito si fermò a vedere cosa fosse accaduto e vide che c'erano già altre persone a prestare aiuto e che per questo motivo la contestazione di omissione di soccorso non reggerebbe.