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Processo Creaf, gli avvocati di Gestri e Biffoni: “Nessuna responsabilità sul dissesto”


Aperta la tornata delle arringhe dopo le richieste di condanna per tutti gli imputati avanzate dal pm Lorenzo Boscagli. Le difese hanno smontato la ricostruzione dell'accusa e hanno escluso la responsabilità politica. Prossima udienza tra un paio di settimane. Sentenza prevista dopo l'estate


Redazione


Processo Creaf, è arrivato il giorno delle difese. Ha preso il via oggi, mercoledì 18 maggio, la tornata di arringhe degli avvocati che difendono gli otto imputati chiamati a rispondere di bancarotta semplice aggravata per il fallimento del Creaf, il Centro di ricerca e alta formazione mai entrato in attività nonostante i 22 milioni di euro pubblici spesi in 11 anni. Un fiume di denaro che ha continuato a scorrere fino al 2016 quando l'amministratore unico, Laura Calciolari, portò i libri contabili in tribunale per chiedere il concordato preventivo, poi bocciato dal giudice che a febbraio 2017 dichiarò il fallimento.
Dopo la richiesta del pubblico ministero Lorenzo Boscagli di condannare tutti gli imputati, tra loro il sindaco Matteo Biffoni nella sua qualità di presidente della Provincia, e dunque di socio di maggioranza del Creaf, e il suo predecessore Lamberto Gestri, è toccato alle difese ripercorrere gli anni di quello che doveva rappresentare il rilancio del tessile ma che è rimasto sempre e solo un sogno. Un sogno, il Creaf, partecipato da tutti i Comuni dell'area pratese (quota di maggioranza in capo alla Provincia) mai concretizzato nonostante gli sforzi compiuti nel corso degli anni.
Sei ore di arringhe serrate, di difese appassionate e di un minimo comune denominatore: la politica che addossa la responsabilità – se una responsabilità c'è stata – su chi, a vario titolo, ha avuto un ruolo nella gestione attiva della società e sui tecnici. La politica, insomma, ha avuto un ruolo distinto, lontano dalle dinamiche gestionali, ha fatto quello che poteva e che doveva fare e se la si incolpa di non avere fatto è perché evidentemente non doveva e non poteva fare: questa la sintesi.
Il primo a prendere la parola è stato l'avvocato Giovanni Renna, difensore di Lamberto Gestri: “Non possiamo pensare – ha detto al giudice Elisa Romano – che se dopo una spesa di più di 20 milioni il Creaf non è stato aperto, sia una responsabilità di tutti”. La difesa ha ricostruito la travagliata vita del progetto: “Gli si contesta di non aver garantito ulteriore sostegno economico, di non essere stato disponibile a fornire ulteriori forme di finanziamento: il presidente Gestri ha fatto tutto quello che era nelle sue competenze per salvaguardare l'obiettivo e lo ha fatto in momenti in cui non emergevano elementi che potessero mettere in dubbio la continuità aziendale”.
Una continuità aziendale che, secondo la ricostruzione dell'accusa, basata sul lavoro del consulente della procura che ha passato in rassegna chili e chili di atti, documenti, bilanci e verbali, era già cessata il 31 marzo 2011, in sede di approvazione del bilancio. Una data che è stata contestata a più riprese.
“Una data – ha continuato Renna – determinata attraverso un criterio matematico retrodatato: se su questo si condanna, io dico che è da brividi”.
Renna ha chiesto l'assoluzione piena per l'ex presidente della Provincia: “A carico di Gestri non c'è traccia di atti dannosi o intenzionali finalizzati al dissesto della società. Non si rintracciano gravi inadempienze, né atti fraudolenti. E' stato forse trovato un euro speso male? un euro speso per scopi extrasociali? No, anzi dei circa 25 milioni incamerati dal Creaf, 24 e passa risultano impiegati”.
L'avvocato Pier Matteo Lucibello, difensore di Matteo Biffoni, ha insistito sulla mancanza di presupposti per imputare responsabilità al socio di maggioranza e lo ha fatto agganciandosi al ragionamento sostenuto dall'accusa secondo cui senza la richiesta di fallimento, quando era chiaro che non ci sarebbe stato futuro per il progetto, è stato appesantito il passivo della società. “La richiesta di fallimento non spetta al socio, bensì all'imprenditore o al creditore, oppure agli amministratori – le parole del legale – nessun obbligo sul socio di maggioranza. Tale colpa la si sarebbe potuta addebitare se fosse stato accertato il ruolo di amministratore di fatto, ma ciò non è avvenuto semplicemente perché Biffoni aveva un ruolo politico”. E ancora, rivolgendosi al pm: “Non si può valutare il testo di una legge per farle dire quello che non dice o per farle dire il contrario a pro della tesi accusatoria”. Lucibello si è soffermato sul capo di imputazione: “Si descrive la condotta dell'allora presidente della Provincia Biffoni e si dice che si è astenuto dal chiedere il fallimento, ha negato finanziamenti, ha omesso altre azioni. Insomma non si fa cenno a direttive ma ad omissioni: siamo lontani mille miglia dall'articolo 2497 del Codice civile che invece parla di attività direttive e di coordinamento condotte dal soggetto al quale si imputa la responsabilità. Ecco, è chiaro che non è questo il caso”.
Lucibello ha anche parlato dell'”atteggiamento psicologico” dei soci: “E' stato il socio Marco Martini (ex sindaco di Poggio a Caiano ndr) a dirci che loro erano lì per realizzare un sogno senza preoccupazioni sul resto. Una finalità politica ben diversa da quella degli amministratori. Il socio, insomma, era ispirato dalla volontà politica di proseguire il Creaf: come si fa a parlare di cooperazione nel crac”? Se serve altro per sostenere il mio ragionamento aggiungo che Biffoni, fin dal primo momento del suo insediamento, chiese se si poteva parlare ancora di continuità aziendale oppure no, e lo chiese all'unico soggetto a cui poteva rivolgere la domanda: l'amministratore delegato, Calciolari. E la risposta quale fu? Portare i libri in tribunale e chiedere il concordato preventivo: non è forse questa la spia di quanto fosse precisa la domanda del mio assistito”? L'avvocato Lucibello, come l'altro collega che difende Biffoni, Giuseppe Nicolosi, ha chiesto l'assoluzione con formula piena. “Devo ancora comprendere cosa avrebbe dovuto fare o non fare Biffoni – l'inizio della sua arringa a tratti veemente – gli si contesta di avere avuto un comportamento contraddittorio e dilatorio, di aver espresso sostegno politico senza la corresponsione del denaro necessario a completare il Creaf. Se non sono arrivati i fondi Fipro, rispetto ai quali era stato dato parere positivo dalla Corte dei Conti, e che erano in quel momento – siamo a primavera del 2014 – lo strumento per rimettere in moto il progetto, la colpa è dell'amministratore Calciolari che non aveva capito che l'erogazione era condizionata alla rendicontazione dello stato di avanzamento dei lavori. Lavori che non furono fatti partire, senza i quali non si poteva produrre una fattura da presentare alla Regione in modo da attivare lo strumento finanziario. La verità è che la gestione del Creaf non è stata all'altezza e il giorno in cui l'amministratore unico chiede al tribunale il concordato preventivo (8 agosto 2016), manda a Biffoni un messaggio: “Credimi, è stato tutto ponderato e valutato con la massima attenzione nei tuoi confronti”. E a lui che non sapeva niente di questa decisione, così come non sapevano niente gli altri soci, vogliamo attribuire una responsabilità nel dissesto legata ad un ruolo diretto nella gestione”?
I fondi Fipro hanno occupato buona parte dell'arringa di Nicolosi anche perché forse davvero con quelli si sarebbe potuto davvero intravedere finalmente la partenza del Creaf che, con l'avvio dell'attività e la realizzazione di una redditività avrebbe potuto restituire l'enorme anticipazione finanziaria concessa dalla Provincia nella prima fase del progetto: circa 6 milioni tra il 2006 e il 2010: “Pietra angolare del capo di imputazione i fondi Fipro che da attore principale sono diventati una comparsa nella requisitoria del pm – le sue parole – la verità è che si è molto equivocato su questo finanziamento, pochi hanno capito il funzionamento e i termini dell'erogazione ma l'amministratore unico avrà letto la norma, l'avrà studiata, no? Biffoni si è fidato di Laura Calciolari, dei suoi dirigenti in Provincia, si fidava di quello che leggeva nei documenti e si adoperava affinché il Creaf arrivasse finalmente all'apertura. Sapete quando si è allarmato? Quando il revisore dei conti, per la prima volta nel 2016, ha espresso dubbi sulla continuità aziendale”.
La lunghissima udienza si è conclusa con l'arringa dell'avvocato Enrico Guarducci, difensore di Gianmario Bacca, membro del cda. Con precisione temporale, il legale ha ricostruito la permanenza del suo assistito nella consiglio di amministrazione della società: “Se si fa risalire al 31 marzo 2011 la data di cessazione della continuità aziendale, perché – ha chiesto – in questo processo non c'è anche il predecessore del mio assistito che rimase in carica fino al 31 dicembre di quell'anno? Siamo dentro un processo fatto con il microscopio ma poi si scopre che forse manca qualcuno all'appello. I fatti – ancora Guarducci – sono sorprendentemente contenuti nel capo di imputazione e parlano del ruolo del mio assistito che si è fidato del collegio dei sindaci revisori, che ha valutato diligentemente carte e documenti e che si è dimesso, caso del destino, il giorno prima che la Corte dei Conti, all'allora presidente Gestri, facesse sapere che i fondi Fipro si potevano attivare. Bacca deve essere assolto perché il fatto non sussiste”.
Prossima udienza tra un paio di settimane. Toccherà agli avvocati degli altri imputati: il presidente del Creaf Luca Rinfreschi, l'amministratore unico della società Laura Calciolari, il membro del cda Veronica Melani, i sindaci revisori Marco Bini e Massimo Picchi. La sentenza è prevista dopo l'estate.

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