“Il senso rende molte cose, forse tutte, sopportabili” (C.G Yung)
Un dolore forte, un dolore vero, di quelli che spietati trafiggono alla croce. Di quelli tosti come la realtà da affrontare; un dolore che assale lasciando storditi e stupefatti. Arriva senza preavviso come un pugno nello stomaco togliendo il respiro e anni di vita: il dolore per la malattia di un figlio. Succede a tanti, succede a troppi e tante sono le reazioni messe in atto. Paralisi, immobilizzazione, sospensione, dissociazione: difese estreme per aggrapparsi a superstiti brandelli di un’esistenza diventata estrema. Ma improvvisamente emerge una forza, una risorsa nell’uomo, capace di trovare speranza nella disperazione, senso e significato in ciò che è apparentemente illogico, insensato.
Sì perché, rispetto alle altre specie viventi, abbiamo potenzialmente il privilegio di poter decidere l’atteggiamento da tenere verso la vita e la morte, con tutte le sfumature di gioie e sofferenze comprese tra l’inizio e la fine.
Alcuni atteggiamenti esistenziali sono delineati in “Siamo più forti di tutto” slogan e libro dell’associazione Nicco Fans Club. Un urlo, abilmente espresso da Carlotta Pugi, dei tanti piccoli e grandi eroi che quotidianamente, in silenzio, combattono le loro battaglie sfidando dolore e sofferenza. Un’applicazione esemplare di resilienza: “l’arte di risalire sulla barca rovesciata”, ovvero la capacità di affrontare “i ribaltamenti” della vita con attitudine propositiva, scorgendo in ogni evento negativo l’aspetto prezioso di crescita e cambiamento.
Questa capacità di rialzarsi più forti di prima può talvolta esitare in vari modi di vivere: dal non fare finta di, dalla possibilità cioè di stare davanti a ciò che non si vorrebbe vedere, a ciò che si desidererebbe ostinatamente negare all’abilità di prendere posizione e di pronunciare quel “ce la possiamo fare” che è tutto ciò che serve per andare avanti, dall’umorismo con il suo conquistato distacco, all’autoironia che, lungi dall’essere estraniante e distanziante dal reale, del reale ne coglie gli aspetti più tragici, rendendoli sostenibili allo sguardo e sopportabili dall’animo umano. Questa capacità può culminare infine nella coraggiosa spinta ad oltrepassare i confini dell’io, dell’interesse individuale, per approdare nelle terre del noi, della solidarietà condivisa. “Scalare la montagna ed aiutare gli altri a farlo” diventa quindi un progetto esistenziale che implica l’essere orientati verso qualcosa o qualcuno che sta al di là e al di sopra di noi stessi: altri esseri umani da incontrare, conoscere, sostenere. Protendendosi oltre si può muovere scacco matto al vuoto esistenziale.
Sfiorando la morte si può abbracciare la vita, una vita intrisa di significato. E in questo contesto particolare rilevanza assume la parola insieme. Insieme in famiglia, insieme tra famiglie: stretti in quell’unione potente e dirompente, che prevede quel procedere accanto, quel rimanere comunque uniti anche e soprattutto quando il percorso diventa impervio, faticoso ed estenuante. Quando è necessario stringere i denti e non indietreggiare, benché feriti, benchè affaticati, sorretti dalla certezza che il bene comune eccede di gran lunga qualsiasi costo individuale. Un lavoro e un’avventura per niente scontata, difficile quanto entusiasmante, che permette di evolvere come nucleo e come persona. Un traguardo conquistabile che apre di volta in volta nuovi orizzonti, ma dentro il quale il dolore, la sofferenza e perfino la morte fanno meno paura perché con meraviglia e stupore scopriamo che insieme…siamo più forti…siamo più forti di tutto!