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Il bullismo nasce anche tra le mura di casa tutte le volte che diamo le “dimissioni” da genitori


Il ruolo insostituibile della famiglia nella crescita dei nostri figli: non possiamo delegare solo alla scuola la funzione educativa


Redazione


Si precipita nello studio senza parlare. Si siede ed aspetta. Non sa cosa dire, forse nemmeno sa con esattezza cosa è venuta a fare. Rimane in silenzio, le braccia conserte in totale chiusura. Solo il suo sguardo tradisce la necessità di un contatto. I jeans enormi lasciano intravedere un corpo non apprezzato, non accolto. 
“Ho cercato in tutti i modi di farlo contento ma non ci sono mai riuscita. Ancora oggi continuo a rincorrere la sua approvazione perché se me lo dice lui che vado bene ci credo, altrimenti non ci crederei… nemmeno se me lo dicesse il Papa.” Si riferisce a suo padre. I suoi pugni stretti sottolineano quanto è tuttora importante, potente il rimando di questa figura genitoriale. “Mi sono sentita una nullità”, sussurra “per un po’ ho sopportato le prese in giro dei miei compagni. Poi ho imparato a difendermi, e poi a farmi rispettare. Adesso hanno paura di me”.
All’uscita di scuola ogni giorno aspettava una compagna per offenderla e schernirla davanti alle altre. Avrebbe voluto distruggerla, le ricordava troppo quello che lei stessa era stata e non voleva più essere: goffa, grassoccia, insignificante. Usava la prepotenza per compensare i suoi vissuti di inadeguatezza, la prevaricazione per evitare di essere umiliata. Quando era assalita da un profondo senso di ingiustizia la rabbia prendeva il comando delle sue azioni e diventava capace di tutto. Dominare e padroneggiare gli stati emotivi le era impossibile, così come non era capace di comprendere fino in fondo le conseguenze dei suoi comportamenti nè ciò che i suoi atti avrebbero provocato nella vittima designata. 
D’altro canto come avrebbe potuto esserlo? Era cresciuta in clima familiare altamente conflittuale: critica e coercizione si alternavano a deprivazione affettiva ed a squarci di permissivismo. Ha vissuto di incomprensioni, incoerenze, incertezze. Stenta a capire cosa sia il rispetto, la condivisione, la tolleranza: non ne ha mai fatto esperienza, né ha potuto osservarli negli scambi genitoriali. Adesso a scuola vengono proposti laboratori teatrali. Dovrebbe parteciparvi assieme ai compagni di classe. Ma non sa come. 
Conosce solo la prevaricazione come forma di comunicazione, fuori da questo copione si sente diversa, disorientata. Si scopre impacciata: sensazione che odia perchè la riporta indietro nel tempo, dove non vuole più tornare. Le vengono in mente alcune parole lette sulla porta di classe: “esiste un teatro che viene prima del dramma, ma non è un edificio di pietre e mattoni. E’ l’edificio costruito dal corpo dell’attore”. Le piace, l’attira, come l’attira la possibilità di “tirar fuori” ciò che le “urla dentro”, trovando contenimento ed incontrando limiti. Quanto li ha desiderati questi confini! Ma poi ci sarà qualcuno in grado di sostenerla? Oppure precipiterà ancora una volta nel vuoto, nella solitudine? 
Come un personaggio in cerca del suo autore timidamente muove i primi passi in un contesto relazionale finora inesplorato , dove vanno in scena i “come se” che aiutano a crescere. Raccontandosi si trova, ascoltando riesce a raggiungere l’altro e a farsi raggiungere, alternando chiusure e aperture, distanza e vicinanza. 
Quanto avrebbe avuto bisogno di trovare tra le pareti di casa ciò che adesso sperimenta tra i banchi di scuola! Quanto le sarebbe stata necessaria la presenza di un adulto in grado di fare l’adulto, capace di dire dei no quando dovevano essere detti, di non cedere alle sue provocazioni, di non colludere con le sue “tirannie.” La presenza di qualcuno che si fosse preso la briga di farle assumere gradualmente le proprie responsabilità non sostituendosi a lei né sottraendosi all’impegno di guidarla, incoraggiarla ed accompagnarla dentro le vicessitudini della vita. Invece tutto le era concesso e tutto le veniva rimproverato. Ma come poteva imparare in assenza di maestri di vita? Tutto il suo dolore, tutta la sua fatica, grida l’urgenza non più rimandabile di adulti capaci di mantenere il loro ruolo e di esercitare la loro funzione.
Non possiamo delegare in toto alla scuola la funzione educativa: l’impronta da noi lasciata come genitori è unica irripetibile, come unica e insostituibile è la responsabilità che abbiamo. Dobbiamo formare una cordata dove, pur essendo insieme, ognuno svolga la propria parte. Comincio allora ad intuire un possibile significato degli atti di bullismo che avvengono con frequenza crescente: sono l’urlo che ci viene rivolto dalle giovani generazioni.
Ci esortano a non dare le dimissioni, a riprendere in mano il timone, e la nostra funzione di guida e di contenimento. Incapaci di fronteggiare il nostro senso di inadeguatezza dovremo vincere la tentazione di effettuare interventi “a gamba tesa” per zittire la problematica (e le nostre paure), dovremo evitare di agire (anche noi) contro gli agiti rischiando di innescare una spirale che travolge e sconvolge tutti quanti. 
E se il bullismo fosse "un’opportunità”? Se gli episodi di violenza che ci lasciano attoniti e atterriti fossero occasioni specifiche da sfruttare per capire cosa sta accadendo alla società, alla famiglia, a noi e ai nostri ragazzi? E poi, solo poi decidere cosa fare e come intervenire.
Teresa Zucchi
Edizioni locali: Prato
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è una testata registrata presso il Tribunale di Prato
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