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Guariti e finita la quarantena a casa, ma senza il tampone di controllo nessuno della famiglia può uscire


Una donna di 50 anni è stata dimessa il 20 marzo ma ancora nessuno l'ha ricontrollata: "Anche mio marito e mia figlia non possono uscire. I parenti ci fanno la spesa ma non sappiamo come andare al bancomat per prendere i soldi". Un altro paziente ha già avuto un tampone negativo ma da giorni aspetta il terzo per poter tornare fuori


Redazione


Non è solo l’effettuazione del primo tampone ad avere tempistiche pachidermiche. Anche quella del secondo e del terzo, necessaria per capire se un paziente è guarito dal Covid19 e può tornare alla normalità, viaggia con ritardi pesanti che costringono l’intera famiglia “a veri e propri arresti domiciliari”. Due i casi emblematici raccolti da Notizie di Prato.
Il primo riguarda una cinquantenne della zona sud della città che attende il secondo e il terzo tampone. Dopo un periodo di ricovero al Santo Stefano per gravi problemi respiratori legati al virus, le sue condizioni sono migliorate e il 20 marzo è tornata a casa. Da quel giorno è iniziato il periodo di quarantena per lei e i suoi familiari conviventi che stanno bene e non hanno mai avuto sintomi. Sarebbe più giusto definirla Via Crucis perché di questo si tratta quando vivi in una casa piccola con un solo bagno e senza un orizzonte temporale sulla fine di tutto. I 14 giorni infatti, sono terminati ma nessuno dell’Asl si è presentato per eseguire il secondo tampone e, dopo 48 ore, il terzo. Senza la certezza delle negatività di entrambi, l’Asl non revoca la quarantena. Nessuno quindi può uscire di casa, per nessun motivo. “Non so se definirlo sequestro di persona, sicuramente è un abuso. – racconta la donna – Questo non tanto per me che posso restare in isolamento ancora, non voglio togliere i tamponi a chi sta peggio di me, quanto per mio marito e mia figlia. Che almeno si svincolino loro. Ho provato a sollecitare il rispetto delle tempistiche ma è un continuo rimpallo. Se avessi saputo in che guaio mi infilavo, mai avrei accettato di tornare a casa dove tra l’altro nessuno dell’ospedale è mai venuto a visitarmi. Non avevo capito che mandare le persone a casa significava “arrivederci e grazie”. Alla nostra porta hanno bussato solo le forze dell’ordine per verificare che non fossimo usciti. Ci siamo ritrovati in una situazione complessa dove sono parenti e amici a farci la spesa, andare in farmacia e pagarci le bollette. Peccato che abbiamo finito i soldi liquidi e dobbiamo necessariamente andare a fare bancomat. Non posso farmi anticipare le spese da chi già mi fa il piacere di occuparsi di tutto. Abbiamo chiesto alla polizia di scortarci al bancomat ma non abbiamo avuto risposta. E per ottenere il ritiro della spazzatura dopo 15 giorni di rimpalli, ho dovuto scrivere al sindaco. Questo è il quadro: anziché stare tranquilla, riposare e ricevere rassicurazioni, passo il giorno al telefono a chiedere aiuto. Bene le convenzioni con i privati per fare i test su forze dell’ordine e sanitari, ma sindaco e Asl si ricordino che ci siamo anche noi pazienti e i nostri familiari. Dovremmo essere il primo pensiero, non essere dimenticati a casa”.
Il secondo caso riguarda un uomo, anche lui di 50 anni. In questo caso il secondo tampone è stato fatto ed è negativo. A mancare è il terzo tampone. Doveva essere fatto entro 48 ore dal secondo, ma in realtà sono passati ben 6 giorni. Nel frattempo il paziente e la moglie stanno chiusi in casa da esattamente quaranta giorni: “Per me la quarantena vale alla lettera. – afferma con un’amara ironia – se avessi saputo che finiva così non avrei lottato per avere il primo tampone. Sono 25 giorni che sto benissimo. Dopo varie insistenze ho ottenuto il secondo tampone che è risultato negativo. Anziché tornare dopo due giorni, l’Asl è sparita di nuovo lasciandomi a metà. Le regole devono valere per tutti: per noi che non dobbiamo uscire e per loro che devono rispettare i protocolli”.
Purtroppo anche i ritardi sui primi tamponi permangono. Come ci racconta Leyla, molto preoccupata per il padre 76enne dopo che lunedì scorso la madre è stata ricoverata al Santo Stefano per Covid 19. “A vederlo è il ritratto della salute ma in realtà ha più patologie e due giorni prima della mamma ha avuto sintomi sospetti. Forse è stato lui ad attaccarla a lei. Noi siamo in quarantena ma troverei giusto che almeno al babbo venisse fatto un tampone”.
Forse il primo screening troverà un’accelerata nei prossimi giorni quando anche nel pratese saranno attivate le Usca, unità speciali per i tamponi a domicilio su indicazione del medico di medicina generale. Saranno sei di cui quattro a Prato, una nei comuni medicei e una in Val di Bisenzio. Secondo il sindaco Biffoni prenderanno il via martedì 7 aprile.
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è una testata registrata presso il Tribunale di Prato
(N° 4 del 14/02/2009)
Iscrizione al Roc n° 20.901

Direttore responsabile: Claudio Vannacci

Editore: Toscana Tv srl

Redazione: Via del Biancospino, 29/b, 50010
Capalle/Campi Bisenzio (FI)

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