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Figlio da 14enne, la donna condannata perché “incapace di porre un freno agli istinti anche davanti a un minore”


Il giudice Daniela Migliorati ha depositato le motivazioni della condanna inflitta alla 32enne e al marito: "Un minore non si tocca e invece il ragazzo era diventato oggetto delle morbose attenzioni della donna"


Redazione


“Incapace di porre un freno ai suoi appetiti sessuali, a quell'insana passione per un adolescente. Una donna incentrata sul proprio ego nel totale dispregio degli interessi di un giovanetto, una donna che non ha speso una parola per riconoscere il male arrecato al ragazzo”. E' uno dei passaggi delle settanta pagine con le quali il giudice Daniela Migliorati spiega i motivi che lo scorso primo giugno hanno portato alla condanna a sei anni e sei mesi della donna, oggi trentaduenne, che nell'estate del 2018 ha dato alla luce il figlio nato dalla relazione con un allora studente di terza media a cui dava ripetizioni di inglese.
La donna, difesa dagli avvocati Mattia Alfano e Massimo Nistri, finì ai domiciliari all'inizio del 2019. A mettere in moto l'inchiesta, affidata ai sostituti Lorenzo Gestri e Lorenzo Boscagli, fu la denuncia presentata in questura dalla mamma del ragazzino, assistita nel processo dall'avvocato Roberta Roviello. Una denuncia ancorata, nel giro di poche ore, all'esame del dna sul neonato.
Una vicenda che ha trascinato nelle aule di giustizia anche il marito dell'imputata, condannato a un anno e 8 mesi per essersi assunto la paternità. Una scelta consapevole di fronte ad una verità conosciuta, come ha ricostruito l'inchiesta: la procura, infatti, ha portato al giudice una intercettazione telefonica dalla quale emerge chiaramente che l'uomo sapeva: “Dichiarare il falso – scrive il giudice – comporta sottrarre indebitamente ad un bambino il suo patrimonio genetico, culturale, affettivo”.
Le settanta pagine ripercorrono tutta la storia tra la donna e il minore che il giudice chiama “giovanetto”, mutuando il termine da una letteratura vecchia ma considerandolo “efficace per delineare la figura di un adolescente da qualche tempo prima dei 14 anni a qualche tempo dopo”.
Dell'imputata emerge un profilo psicologico caratterizzato – si legge – “da un ego assolutamente preponderante che non ha indotto ad alcun tipo di ravvedimento”. Si parla di una donna “capace di intendere e volere”, come ha concluso la perizia psichiatrica affidata al dottor Renato Ariatti (lo stesso che valutò le condizioni psicologiche di Annamaria Franzoni, la mamma di Cogne condannata per l'omicidio del figlioletto), che ha “esibito il suo bambino come un trofeo” e lo ha usato come “potente arma di convincimento” sul giovane amante per evitare che si sottraesse a quel rapporto. A dimostrazione di ciò, i messaggi intercorsi tra i due amanti e poi quanto detto dallo studente e quanto ricostruito dagli investigatori attraverso le dichiarazioni rese dai testimoni: le minacce di rivelare a tutti la vera paternità del bimbo se la relazione fossa finita. “Il ragazzo – è scritto nelle motivazioni della sentenza – si ingegna a soddisfare la donna sessualmente, a profferirle il suo amore negli infiniti messaggi cui è compulsato a rispondere anche in orario scolastico pur di ottenere la tranquillità che quell'inverecondo segreto non sia mai rivelato”.
Segreto che emerge quando il giovane mostra chiari segnali di nervosismo che si riflettono in famiglia e nello sport che pratica. Campanelli d'allarme che spingono la madre ad indagare fino a dare un nome ai profondi turbamenti del figlio.
Il giudice ha smontato la tesi della difesa che ha cercato in tutti i modi, anche sollevando una eccezione di incostituzionalità sulla norma che punisce il sesso con minori sotto i 14 anni ritenendola non al passo coi tempi (eccezione non accolta), di dimostrare che, pur minorenne, il ragazzo era in grado di capire e partecipe. Una tesi respinta con grande forza dal tribunale che ha sottolineato “inconfutabile disomogeneità dell'approccio alla sessualità tra un giovinetto e un adulto”. “Un minore – dice la sentenza – non si tocca”. E questo minore, viene ribadito, “era divenuto ossessivo oggetto delle morbose attenzioni della donna che lo teneva sotto minaccia senza dargli tregua”.
Nella sentenza si fa riferimento all'assoluta mancanza di parole di scuse dell'imputata allo studente il cui “danno psicologico – si legge – può essere serio ed irreversibile e compromettere le relazioni affettive del futuro uomo”.
Un cenno anche ai motivi per i quali non è stato possibile per l'imputata accedere al rito abbreviato e dunque ad uno sconto della pena: “In udienza preliminare – è scritto nella sentenza – non è stata prodotta la procura speciale necessaria a celebrare un rito alternativo”. Gli avvocati non hanno portato al giudice l'atto e questo ha di fatto dato il via al processo con rito ordinario.

nadia tarantino
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è una testata registrata presso il Tribunale di Prato
(N° 4 del 14/02/2009)
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