29.09.2022 h 15:06 commenti

Espulsione dall'Italia e confisca dei soldi dopo la condanna per droga, la Cassazione annulla

Un ventinovenne ha vinto il ricorso contro la decisione del giudice delle udienze preliminari del tribunale di Prato che, dopo aver accolto il patteggiamento, ha disposto gli altri due provvedimenti. La Suprema Corte: "Serve dimostrare la pericolosità sociale e la provenienza illecita delle somme sequestrate"
Espulsione dall'Italia e confisca dei soldi dopo la condanna per droga, la Cassazione annulla
Patteggiò 2 anni e 2 mesi di reclusione e 4mila euro di multa per la detenzione di ketamina e marijuana, ma il giudice delle udienze preliminari del tribunale di Prato ordinò anche l'espulsione dal territorio italiano e la confisca dei soldi sequestrati nelle fasi dell'arresto. Provvedimenti ingiusti e non motivati secondo l'imputato, un cinese di 29 anni, a cui la Corte di Cassazione ha dato ragione stabilendo che il tribunale di Prato dovrà verificare se esistano o meno le condizioni che determinano l'espulsione, e anche se il denaro sequestrato sia effettivamente proveniente da un'attività illecita.
Il cinese finì davanti al giudice a ottobre del 2017 per rispondere della detenzione della sostanza stupefacente. Il procedimento penale si chiuse con il patteggiamento, e fin qui nulla da ridire. A spingere l'imputato a ricorrere contro la sentenza sono stati i due provvedimenti, quello dell'espulsione e quello della confisca. Il primo, riconducibile alla 'pericolosità sociale', deve trovare un ancoraggio “nella sussistenza in concreto”, vale a dire che non è sufficiente “il mero riferimento alla disinvoltura dell'imputato a trasgredire le regole socio giuridiche” ma serve una valutazione che giustifichi la pericolosità e dunque l'espulsione. Quanto al secondo provvedimento, la Cassazione ha ricordato che “il denaro rinvenuto nella disponibilità dell'imputato può essere sottoposto a confisca solo nel caso si dimostri il provento illecito”. Il cinese aveva detto che la somma trovata in suo possesso era frutto del lavoro della moglie, titolare di una confezione. “Il tribunale – scrive il terzo grado – non ha fornito alcune dimostrazione circa l'esistenza del nesso pertinenziale tra il denaro e il reato” e ha “del tutto ignorato la plausibile giustificazione fornita circa la sua provenienza”.
nt
 
Edizioni locali collegate:  Prato

Data della notizia:  29.09.2022 h 15:06

 
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