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Creaf, ultime schermaglie tra accusa e difesa prima della sentenza del 26 ottobre


Diciannovesima udienza dedicata alle repliche del pubblico ministero e alle controrepliche del pool di avvocati che difende gli otto imputati - politici e amministratori - chiamati a rispondere di concorso in bancarotta semplice aggravata per il fallimento del Creaf, costato 22 milioni di soldi pubblici ma mai entrato in attività


Redazione


Dedicata alle repliche e alle controrepliche la diciannovesima udienza del processo avviato nel 2019 per far luce sul fallimento del Creaf, il Centro di ricerca e alta formazione pensato per rilanciare in chiave tecnologica e competitiva il distretto tessile pratese ma, nonostante una spesa di 22 milioni di euro pubblici, mai inaugurato. Un'udienza, la penultima prima della sentenza prevista il 26 ottobre, che ha portato in superficie, una volta di più, le schermaglie a tratti pungenti che nei tre anni del processo non sono mai mancate tra il pubblico ministero Lorenzo Boscagli e il nutrito pool difensivo. Otto, tra politici e amministratori, chiamati a rispondere di concorso in bancarotta semplice aggravata. Spiccano i nomi degli ex presidenti della Provincia di Prato – ente socio di maggioranza del Creaf – Lamberto Gestri e Matteo Biffoni, attuale sindaco (entrambi presenti in aula). “Tutto può fare la difesa tranne – le parole del pm – modificare l'addebito a suo piacimento per poi puntare sull'infondatezza. Non può, la difesa, stravolgere il senso della requisitoria ma questo ha fatto”; “Pur di portare il socio di maggioranza in questa aula – la risposta degli avvocati Giovanni Renna, Pier Matteo Lucibello e Giuseppe Nicolosi che assistono Lamberto Gestri e Matteo Biffoni – si è andati a cercare norme che non sono aderenti a questa vicenda ma alle quali si è ancora l'imputazione”.
L'accusa ha poggiato la sua replica sui tecnicismi della legge fallimentare e delle norme civilistiche alla base delle incolpazioni, richiamando una serie di sentenze della Corte di Cassazione per affermare la legittimità delle contestazioni per come sono state costruite. Boscagli ha ribadito, correggendo il tiro delle arringhe, che mai si è parlato del socio di maggioranza come dell'amministratore di fatto della società: “Questa lettura è quanto di più lontano si possa immaginare e quanto di più lontano possa esserci dalla verità – ha detto – non ho mai parlato di questo. Ho detto, e ripeto, che le condotte contestate al socio di maggioranza sono quelle di direzione e coordinamento, vale a dire l'influenza dominante, e su questo, solo su questo si sofferma il capo di imputazione”. Quanto alle norme civilistiche contestate in particolare dalla difesa di Biffoni, il pm ha chiarito: “Si contesta l'applicazione di quelle norme nel procedimento penale, quando quelle norme descrivono le condizioni societarie che poi devono trovare ancoraggio nelle norme penali, e mi pare che su questo combinato ci sia poco da dire”.
La giurisprudenza di legittimità l'ha fatta da padrone perché sia l'accusa che la difesa hanno sfoderato sentenze che costituiscono un precedente ma che, e su questo tutti sono stati d'accordo, vengono via via superate da quelle successive – dunque più fresche – che talvolta danno una interpretazione diversa quando non opposta alle precedenti.
“Se l'anticipazione finanziaria è un falso problema come le difese del socio di maggioranza hanno detto – ancora Boscagli riferendosi alla legge che nel 2010 vietò agli enti pubblici di finanziare società partecipate con esercizi in perdita da almeno tre anni, bloccando di fatto il flusso di denaro in uscita dalla Provincia e in ingresso al Creaf – allora il problema era l'organo amministrativo che si rifiutava di dare seguito alle manifestazioni di interesse dei soggetti pronti a prendere gli spazi in affitto senza che ci fosse prima un chiarimento su quei denari. Se questo è, perché non è stato revocato l'organo amministrativo”?
Il pubblico ministero ha nuovamente ribadito uno dei fatti che costituiscono il cardine del suo convincimento: “E' stato fatto di tutto per tenere in vita il Creaf, una volontà ferrea nonostante una situazione che continuava a drenare risorse pubbliche senza vedere avvicinarsi il traguardo. Il default tecnico risale al 2011 quando si sarebbe dovuto approvare un bilancio con criteri di liquidazione anziché di continuità: già allora il dissesto era pesante, ma continuando ancora e fino al 2016 quando l'amministratore unico ha portato i libri in tribunale, ecco che siamo arrivati ai famosi 22 milioni di euro dei contribuenti”.
Gli avvocati, a turno, hanno replicato confermando e, anzi, rafforzando le tesi delle loro requisitorie: si è fatto leva sul fatto che “alla Provincia di Prato non può essere addebitato il ruolo di direzione e coordinamento perché non è una società, mentre la legge dice che solo una società può ricoprire tale posizione”. E in aggiunta: “Se anche fosse – ha detto l'avvocato Lucibello – occorre analizzare la condotta: la Provincia di Prato ha forse fatto il proprio interesse a scapito del Creaf? No. E in ogni caso, la posizione di garanzia del socio di maggioranza non è ricavabile da nessuna disposizione”. Quanto a Biffoni: “Dal 2014 al 2016, vale a dire nel periodo in cui è stato presidente della Provincia, che ha fatto? Ha messo il suo prestigio – hanno detto i difensori – al servizio delle opportunità che via via si presentavano e lo ha fatto nell'intento di cambiare le sorti del Creaf”.
L'avvocato Renna ha rincarato la dose: “Davvero l'accusa crede che nel 2011 la società avrebbe dovuto approvare un bilancio con criteri di liquidazione senza che ci fosse una causa, una trascrizione, un assegno protestato. All'epoca c'erano i lavori in corso, c'erano manifestazioni di interesse per l'affitto dei locali”.
Giudizi forti sul commercialista Leonardo Castoldi, teste d'accusa nella doppia veste di commissario giudiziale nominato quando la società nel 2016 presentò al tribunale la domanda di concordato preventivo in bianco, e di curatore fallimentare quando fu dichiarata la fine nel 2017: “Senza le sue affermazioni – ha detto Renna – non saremmo qui a fare questo processo. Se il Creaf non ha ottenuto il concordato è perché lui ha detto che l'immobile era invendibile e invece è stato venduto (l'acquisizione è frutto di un accordo con la Regione Toscana, ndr) e che i crediti Iva erano inesigibili e invece, in questi giorni, la Cassazione dà definitivamente ragione al Creaf e torto all'Agenzia delle Entrate”. In ballo 700mila euro, tra il 2006 e il 2010, che avrebbero dato ulteriore ossigeno alla società.
“Una sentenza che mortifica gli imputati – il ragionamento difensivo – che arriva sì tardi ma in tempo per capire dove è, se c'è, una responsabilità”.
E riprendendo il discorso dei 700mila euro di detrazioni Iva, l'avvocato Antonio Bertei, difensore del collegio sindacale rimasto in carico fino al 2014: “Ecco l'alternativa realistica alla chiusura – ha spiegato – è la Cassazione a dirci che c'era una reale aspettativa su quei crediti e se quello che leggiamo ora fosse stato scritto in quei giorni, il destino sarebbe stato diverso”.
Una storia, quella del Creaf, naufragata in un mare di intoppi e forse il riassunto più efficace è quello di uno degli avvocati: “L'impresa è andata male perché la politica e gli enti pubblici non dovrebbero fare gli imprenditori”.

nadia tarantino
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