Caporalato nel settore edile, operai nascosti sul tetto in occasione della visita di un sindacalista
Nelle carte dell'inchiesta della procura di Prato che si è tradotta in 11 ordinanze di custodia cautelare in carcere, le condizioni di lavoro emerse dalla lunga indagine della Squadra mobile. A mettere in moto gli investigatori la denuncia di un operaio alla Cgil: "La ditta non mi paga e io ho quattro figli da sfamare"
“Se non vanno bene gli egiziani perché fanno casino, posso mandare italiani, albanesi, romeni, marocchini e di tutte le etnie perché ho sessanta persone a disposizione”. A parlare, in una intercettazione telefonica tra le centinaia ascoltate e registrate dalla polizia, è Mohamed Said Ahmed Eid, egiziano di 41 anni, arrestato assieme al fratello Sabri, 39, e all'imprenditore Vincenzo Marchio, 45, con l'accusa di essere a capo di un'associazione per delinquere finalizzata ad una serie di reati tra cui lo sfruttamento del lavoro. Dall'inchiesta della procura di Prato, denominata “Cemento nero”, emergono i dettagli del nutrito esercito di manodopera – in parte clandestino, quasi tutto a nero, composto anche da italiani – che sarebbe stato alle dipendenze delle due ditte edili dei tre indagati principali, la Eurocostruzioni 75 srl (legale rappresentante Marchio) e la Novaedil srl (dei due fratelli). A formare il sodalizio, secondo la procura e secondo il tribunale che ha sposato la tesi del sostituto Lorenzo Gestri, altri 8 indagati, anche loro raggiunti dall'ordinanza di custodia cautelare in carcere (
leggi).
Nelle pagine dell'ordinanza firmata dal giudice per le indagini preliminari Costanza Comunale, si legge la gestione della forza lavoro, i salari corrisposti (tra 5 e 10 euro a seconda delle capacità di ciascuno operaio), l'assenza di contratti e quindi di ferie, permessi e malattia, l'assenza di dispositivi di sicurezza nei cantieri, i passaggi di operai da una ditta a un'altra senza nessuna comunicazione.
E si leggono i racconti degli operai che hanno parlato delle loro condizioni di lavoro, a cominciare dal primo che un paio di anni fa, presentandosi alla Cgil di Firenze, ha messo in moto l'inchiesta: “L'impresa è in ritardo con i pagamenti del mio salario – si lamentò – il mio lavoro è l'unica fonte di reddito su cui posso contare per mantenere me e la mia famiglia, moglie e quattro figli minori. Per ogni ora 10 euro se il lavoro era pesante, altrimenti 8”.
Le intercettazioni telefoniche, i pedinamenti, gli appostamenti hanno ricostruito un quadro di “massimizzazione del profitto con la massima riduzione dei costi”, per usare le parole del procuratore Giuseppe Nicolosi. “Gli operai devono rimanere fino alle sette, le otto, le dieci, fino a che il lavoro va fatto, se devono rimanere fino a sera rimangono fino a sera, loro devono rimanere e zitti” è il tenore di una telefonata per organizzare le squadre di operai da impiegare nei cantieri dove c'è tanto da lavorare e poco tempo per consegnare il cantiere finito.
Operai pagati in contanti o tramite carte ricaricabili per non lasciare traccia e qualche volta non pagati proprio come dimostrerebbero le telefonate continue di alcuni lavoratori a quelli che gli investigatori ritengono i capi dell'organizzazione. Molto attenti i due fratelli egiziani a tenere un profilo basso: entrambi, per esempio, si muovevano su macchine intestate ad un italiano residente a Prato, già noto alle forze dell'ordine, a cui gli inquirenti hanno ricondotto 426 automobili.
Nell'ordinanza del gip anche il racconto di operai costretti a nascondersi sul tetto di un cantiere in occasione della visita di un sindacalista della Cisl e quello dei soldi dati ad un operaio che, in seguito ad un infortunio sul lavoro, creava preoccupazioni con le sue visite davanti alla commissione medica: “La questione viene risolta – si legge nelle carte – riconoscendo all'operaio un compenso di 300 euro per poi mandarlo via”.
In tutti i resoconti fatti agli investigatori, emerge lo stato di bisogno dei lavoratori reclutati dai caporali: chi disoccupato da tanto tempo, chi con moglie e figli da sfamare, chi con lo sfratto sulle spalle, chi con il permesso di soggiorno da rinnovare, chi arrivato in Italia con i barconi. Per alcuni di loro un posto letto in una casa a Quarrata - “la casa degli operai”, chiamata così dall'organizzazione – concessa sì in uso ma dietro una trattenuta, secondo quanto si legge nelle carte dell'inchiesta, di 200 euro dallo stipendio.
Indagati anche due professionisti, padre e figlio, che nella loro qualità di consulenti del lavoro, avrebbero fornito false attestazioni circa la presenza di alcuni operai ai corsi di formazione obbligatori.