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A Prato un’impresa su quattro è gestita da cittadini stranieri. Prosegue il calo di quelle italiane, boom per quelle cinesi


Redazione


L’economia cinese, a Prato come nel mondo, è sempre più forte. Non sente per niente il peso della crisi e neppure la pressione psicologica esercitata dai controlli del gruppo interforze. Questa costante è suffragata ancora una volta dalle statische sul numero di imprese nel territorio: nel 2009 le aziende a conduzione orientale registrate alla camera di commercio sono aumentate del 14,1%, mentre nel primo semestre del 2010 l’incremento si è contenuto al 4%, ma con un  tendenziale che potrebbe giungere attorno ad un 8-10% al 31 dicembre dello scorso anno. Ormai il 15% delle aziende attive a Prato sono cinesi e si arriva al 25% del totale se includiamo tutte le imprese straniere.
Per capire quanto i cinesi continuino a fare il buono e il cattivo tempo nel settore produttivo pratese è il dato ancora più marcato del turn-over fra nuove e vecchie attività. A fronte di 722 iscrizioni nel periodo gennaio-giugno 2010 ci sono state 530 cessazioni. È un meccanismo ormai collaudato e ben noto agli economisti più attenti al comportamento degli orientali: chi apre un’azienda la chiude dopo un anno e la registra con un altro nome per sfuggire alle asperità della tassazione locale e nazionale. E se nel 2009 il turn over è lievitato fino al 49,9% per il 2010 è atteso un superamento della soglia del 50%. Statistiche che provocano stupore nel presidente della Camera di commercio Carlo Longo. “Sinceramente con la crisi e soprattutto con l’impegno della pubblica amministrazione nel contrasto all’illegalità – dice – mi aspettavo un’inversione di tendenza dei dati cinesi, invece sta prevalendo la loro voglia di fare”.
Allargando l’analisi dei dati alla situazione complessiva del tessuto imprenditoriale pratese, si deve proprio ai cinesi il contributo decisivo per far crescere il numero delle aziende. Nel 2009 il calo dell’1,5% delle imprese italiane è diventato globalmente, grazie all’apporto dei cinesi, un tasso positivo di crescita dell’1,1% e dal tendenziale del primo semestre 2010 si capisce che le cose non sono destinate a cambiare. Logico, quindi, che i riflettori inizino a rivolgersi sulla comprensione dei motivi alla base dell’asfittico spirito imprenditoriale dei pratesi delle nuove generazioni. Longo si addentra in una lettura innovativa, che tira in ballo anche la mancanza della guerra da troppo tempo in Italia e in Europa. “E’ un problema europeo i giovani dopo 60 anni di pace non sono più abituati ai conflitti armati e potrebbero per questo avversare il rischio”. Visione controcorrente anche sul distretto parallelo delle confezioni. “Di fatto c’è abbastanza integrazione e la continua crescita delle imprese avviene perché esiste un distretto industriale a Prato. Certamente è auspicabile un aumento dell’integrazione, ma parliamoci chiaro è un problema più sociale che economico-industriale”.
A livello complessivo secondo i dati aggiornati alla prima metà del 2010 le aziende attive gestite dai cinesi sono 4.640; fra queste 3.249 sono confezioni, 224 industrie tessili impegnate per lo più in produzioni affini ai pronto moda. In crescita anche il commercio, arrivato a 657 imprese attive, il settore dei servizi con 164 e la ristorazione giunta a quota 123. Tornando ai dati del 2009 i cinesi mostrano un trend positivo sia nella crescita delle ditte individuale (+13,23%) sia delle società di capitale (+14,95%). In attivo anche il numero delle imprese straniere non cinesi: ad andare verso l’alto sono soprattutto quelle nigeriane (+31,3%) e quelle marocchine (+15,2%).

Carlandrea Adam Poli

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